A quanto pare la campagna contro l’austerità è ormai diventata ufficiale, con buona pace di Frau Merkel e dei “virtuosi” Paesi del Nord Europa. L’ultimo a dichiararle guerra è stato ieri Giuseppe Vegas nella sua presentazione della relazione annuale della Consob, di cui è presidente. Per la verità, ieri anche Mario Draghi si è espresso contro di essa, ma la sua è una ripresa. Ovviamente, se l’austerità è sotto attacco, sale acclamata sul podio la ripresa, ma di questa si vede tuttora solo qualche bagliore all’orizzonte: non bastano, infatti, i peana alla crescita, se poi non seguono azioni concrete. Tanto più che sembra non si tenga nessun conto del fatto che l’austerità può essere perseguita con leggi e atti amministrativi, i cui tagli hanno conseguenze anche immediate, la ripresa richiede operazioni ben più complesse e tempi più lunghi. Soprattutto, come ricordava Carlo Pelanda ieri su ilsussidiario, abbisogna di un elemento sostanziale che è la fiducia e la nostra classe politica sembra non esserne assolutamente cosciente, anzi, talvolta sembra perfino remare contro.
Con queste premesse, il discorso di Vegas mi lascia un po’ freddo, perché quella austerità senza crescita che ora tutti sembrano condannare fu varata da un governo con ampissima maggioranza parlamentare, che tali misure votò, compresa la famigerata Imu sulla prima casa. Mario Monti è i suoi ministri ci misero senz’altro del loro, ma almeno Pd e Pdl non possono ora fare le verginelle. Quanto agli altri, se qualcuno ha capito le loro ricette, me lo dica per favore.
Certo, di tutto ciò non è responsabile Vegas, il cui compito è sorvegliare la Borsa e a tal proposito ha chiesto, credo giustamente, più poteri, anche se, a lui come a tanti altri, bisognerebbe ricordare di utilizzare appieno e fino in fondo quelli che già ha. E’ comunque da rilevare che la Consob è riuscita a ridurre i propri costi, facendo fronte così al mancato finanziamento pubblico e riequilibrando anche i costi sugli operatori.
Tuttavia, mi lascia un po’ perplesso la sua affermazione che lo spauracchio non è più lo spread, ma la disoccupazione, perché lo sarebbe comunque, anche senza spread. E poi, qual è la causa della disoccupazione? La crisi, per combattere la quale si è attuata l’austerità, che ora si “scopre” aver peggiorato la crisi stessa, con il rischio che una disoccupazione sempre più forte faccia rialzare lo spread. Se i politici hanno mostrato tutta la loro ignavia, esperti, tecnici, controllori di vario genere, si svegliano solo adesso?
Per quanto riguarda il suo campo diretto di azione, Vegas ha sostenuto che la finanza deve ritornare a svolgere un ruolo propulsivo fondamentale per tutta l’economia, senza essere né enfatizzata, né demonizzata. Per questo deve essere regolamentata in modo efficiente, riportando sotto controllo tutte quelle operazioni che avvengono in mercati non regolamentati e spesso torbidi. A questo proposito è essenziale il coordinamento europeo, ma anche qui pare che continuino a emergere difficoltà e interessi contrastanti.
Vegas fa l’esempio della cosiddetta Tobin Tax, molto criticata anche su queste pagine, e ne critica, sia pure in modo “vellutato”, l’introduzione in Italia senza aspettare la decisione europea, segnalando il “rischio di uno ‘spiazzamento’ forse anche irreversibile, sui mercati, in termini di delocalizzazione di importanti comparti dell’industria finanziaria nazionale e di penalizzazione per l’operatività in strumenti derivati.”
Non pare l’ideale per un Paese già debole sotto il profilo finanziario, tanto più in presenza di una costante erosione della capacità di risparmio degli italiani, un tempo in testa alle classifiche internazionali, insieme ai giapponesi. Secondo la relazione, negli ultimi vent’anni il risparmio si è ridotto in Italia dal 22% all’8% del reddito disponibile. Vegas segnala anche alcuni problemi specifici, come la dipendenza del risparmio gestito da gestori extra nazionali: le società residenti coprono il 43% della raccolta, contro il 60% della Germania, il 150% della Francia e l’abnorme 270% del Regno Unito.
Inoltre, la significativa presenza delle banche nel capitale delle Sgr (credo che ve ne sia una sola, quotata in Borsa, indipendente) aumenta il rischio di conflitti di interesse “riducendo le performance dei gestori.” Così come dovrebbero “essere prontamente rimossi gli ostacoli allo sviluppo dei fondi pensione.” Insomma, sperando che la Consob faccia pienamente e con decisione ciò che è chiamata a fare, dobbiamo dare atto a Vegas di aver lanciato spunti di lavoro concreto a governo e Parlamento.
Come detto, anche Draghi è tornato su austerità e lavoro, passate da essere considerato un binomio, teorico peraltro, nell’ultimo periodo del governo Monti, a una vera e propria antinomia. Anche Draghi indica nella disoccupazione il problema più grave, ma non dà ricette su come risolverlo, limitandosi a dichiarare la sua intenzione di continuare a ridurre il costo del denaro e la remunerazione dei depositi bancari presso la Bce, per favorire il giungere della liquidità alle imprese. Il resto rimane compito dei politici, come il grande tema delle riforme e della competitività, sollevato ancora una volta dal presidente della Bce.
A questo punto si può dire che i due presidenti danno qualche risposta, sia pure indiretta, chiamando in causa i governanti dei singoli Stati e dell’Ue. L’invito è a dedicare le risorse ottenute alla crescita reale, non a meri esercizi contabili per perseguire una austerità ottusa, “senza speranza” come dice Vegas, distruggendo così la fiducia e avvitando non solo l’economia, ma la società tutta in una spirale disastrosa.
Affinché la massa di liquidità che gira per il mondo possa diventare realmente produttiva non bastano leggi e regolamenti, se non vi è la fiducia in un disegno concreto ed equo di sviluppo. Quello della crescente disparità nella distribuzione della ricchezza è un tema esplicitamente richiamato da Draghi, un tema non solo etico, perché questa diseguaglianza è negativa anche sotto il profilo prettamente economico.
Anche per combattere la disoccupazione non bastano le leggi, che possono facilitare il lavoro, ma non crearlo, se non artificiosamente. Di nuovo, occorre ricreare una clima di fiducia e la speranza nella possibilità di creare una società, e quindi un’economia, più sana nell’interesse di tutti, recuperando l’impegno di tutti a creare occasioni di lavoro, senza alcuna retorica dell’imprenditoria e del lavoro. Insomma, un compito prima di tutto culturale, quindi politico. Che il buon Dio ce la mandi buona, non per modo di dire, ma come vera e propria preghiera all’Onnipotente.