“Il vero nodo è la governance” ha scritto su Il Sole 24 Ore dell’8/10/2008 Luigi Zingales. Si riferisce, nel testo, al caso americano, e in particolare alle vicende dei managers delle grandi aziende finanziarie e alla loro avidità di risultati economici, non equilibrata dai meccanismi della governance. Comportamento che, però, fino a poco tempo fa, sarebbe stato apprezzato e condiviso da tutti, a partire da quei soggetti che prendevano a prestito i soldi per l’acquisto della casa; soldi che venivano loro offerti senza remore, per poi essere cartolarizzati e, quindi, moltiplicati, causando i danni sistemici che osserviamo.
Nel corso dell’audizione da parte del Parlamento Usa, l’ex Ceo di Lehman, Richard Fuld ha dichiarato: «Ogni notte mi sveglio chiedendomi che cosa avrei dovuto fare, dove ho sbagliato […] e per il resto della mia vita avrò il rimorso ed il dolore per ciò che è successo».
Anche quelli che non hanno pagato le rate del mutuo e hanno dovuto abbandonare la casa acquistata, probabilmente, si svegliano nella notte con gli stessi dubbi e rimorsi di Fuld, ma è la stessa cosa? Negli eventi attuali, Fuld e mr. Smith (il sig. Rossi americano) devono condividere la stessa responsabilità?
Non mi riferisco alla evidente differenza di responsabilità civili, ed eventualmente penali, ma alla responsabilità umana di ciascuno di noi di partecipare positivamente, almeno in coscienza, allo svolgimento delle vicende del mondo. E non dobbiamo prendere a parametro neanche il valore monetario dell’interesse economico rappresentato: alcune centinaia di migliaia di debito per Mr. Smith e centinaia di milioni di dollari di compensi per Fuld. Entrambi, in determinati momenti della loro vita hanno dovuto prendere delle decisioni, entrambi potevano decidere in maniere alternative e poi hanno deciso, l’uno di sottoscrivere il contratto di mutuo, pur non essendo certo di rimborsarlo, l’altro di attivare la struttura da lui controllata per agevolare la concessione dei mutui a milioni di mr. Smith, pur sapendo che non era certo il rimborso.
Entrambi hanno sbagliato ma, al contrario di Mr. Smith, Fuld ha, scientemente, ignorato gli interessi di tutti gli altri coinvolti nelle complesse operazioni finanziarie nelle quali il banale mutuo di Mr. Smith era inserito, e a detrimento dei quali l’operazione veniva costruita: azionisti, clienti, risparmiatori, banche e creditori.
Fuld aveva il dovere, per professionalità, per incarico ricoperto e per remunerazione ricevuta di dare voce a chi, nel momento della sua decisione, non aveva i poteri per contrastarlo.
Gli altri gli avrebbero fatto adottare scelte diverse, che fra l’altro avrebbero, forse, in seguito consentito anche a lui di dormire.
Il vero nodo, quindi, non è la governance di forze opposte che si scontrano, di poteri di controllo e vigilanza, che comunque non sembra abbiano funzionato, ma la governance dell’equilibrio degli interessi tra i vari stakeholder e dell’ascolto delle ragioni e degli argomenti altrui. Se il rafforzamento formale dei poteri di controllo e vigilanza é necessario, se l’effettivo esercizio degli stessi deve essere preteso, l’apertura al dissenso – interno ed esterno- da parte di chi ha il potere operativo resta ancora lontano da essere vista come risorsa, soprattutto in tempo di crisi.
E nel caso italiano?
L’autoreferenzialità delle società, dei managers e dei centri di potere economico riducono i problemi di governance alle norme del Codice Civile, all’adozione del sistema duale o meno, alla modifica degli statuti per aumentare i consiglieri di amministrazione o di sorveglianza.
Ancora oggi, l’idea è di gestire la crisi nei salotti riservati, anche quando dalle decisioni dei Nostri (i nomi sono sempre gli stessi) dipendono i destini di milioni di risparmiatori, di indebitati, di lavoratori e piccoli imprenditori, che hanno spesso opinioni diverse, forse anche soluzioni diverse e probabilmente meccanismi più equi.
I Nostri hanno dato prova di incapacità, hanno commesso errori – e solo qualcuno lo ammette ! -, hanno causato danni enormi a terzi, senza aver neanche tentato di ascoltare le loro opinioni.
E allora, potrebbero essere proprio l’arroganza e la protervia del potere, sanciti dalle attuali regole esplicite ed implicite di governance societaria, i limiti della ripresa che però, soprattutto in piena bufera, occorre cominciare a progettare.