Woody Allen nasce Allan Stewart Konigsberg a Manhattan, New York, il primo dicembre del 1935, compie quindi oggi settantacinque anni: auguri.
Autore ed attore televisivo, teatrale e cinematografico di straordinaria vitalità e prolificità, Woody Allen è da considerarsi il più grande falsario del cinema moderno: il suo è un cinema molto “scritto”, un contenitore di generi, tecniche e idee visive mutuate da altri registi. Visioni ripensate e riproposte non secondo la bieca prassi del plagio, ma con profonda ammirazione per gli alti risultati estetici già raggiunti da altri cineasti, ed un incondizionato amore per la settima arte.
Lettore svogliato a scuola, Allen mostra fin da piccolo grande abilità per la scrittura. Esordisce giovanissimo come autore di sketch per la tv. Già nel 1952 lo troviamo con un regolare contratto nello staff di scrittori della NBC. I suoi pezzi in quegli anni sono di supporto ai comici e conduttori tv dei seguitissimi Ed Sullivan Show e The Tonight Show. Lavora anche ad Hollywood per un breve periodo, nello staff degli autori del Colgate Comedy Hour. Poi si lancia nella recitazione dei suoi pezzi, si inventa stand-up comedian al Blue Angel di Manhattan, locale newyorchese molto in voga negli anni sessanta.
E’ l’inizio del 1964 quando al Blue Angel viene notato da Charles K. Feldman, produttore cinematografico fra i maggiori del momento. Nasce così la sceneggiatura di Ciao, Pussycat (C. Donner, 1965), pochade di buon ritmo in cui recitano, oltre ed Allen stesso nella sua prima parte al cinema, Peter O’Toole e Peter Sellers.
Seguono così in quegli anni altre piccole parti e alcuni script, di carattere secondario per altri registi. Poi, durante le numerose repliche della sua commedia Play It Again, Sam (1969) Woody Allen, costretto a recitare la parte del protagonista per indisponibilità di altri nomi importanti, si convince definitivamente ad iniziare la propria avventura cinematografica.
Il primo film interamente suo è un finto documentario su un gangster pasticcione (lo stesso Allen), Prendi i Soldi e Scappa (1969), che rappresenta un esordio emblematico, ed anche se stilisticamente grezzo, ammirevole per frammentazione ed uso di diversi codici e commistione di generi: una sorta di piccolo manifesto dell’idea alleniana di cinema. Curioso però ricordare come Allen stesso, fino all’ultimo insicuro del proprio approccio alla regia, intendesse farlo dirigere a Jerry Lewis.
Segue a questo film una prima fase produttiva fatta di film prevalentemente comico-parodistici, con ampi momenti di comicità visiva (gag). Ricordiamo soprattutto Il Dormiglione (1973) ed Amore e Guerra (1975), parodie, rispettivamente, del genere fantascienza e dei film storici sulle guerre napoleoniche (e del romanzo storico).
La consacrazione come autore cinematografico importante, a suo modo narratore del contemporaneo non più e non solo secondo parodie comiche, avviene con Io e Annie (1977), una delle poche commedie della storia ad aggiudicarsi l’oscar principale (miglior film). Opera apertamente autobiografica, Io e Annie rimane forse ad oggi il punto stilistico più alto del Woody Allen regista.
Da quel momento segue più di un decennio di intenso lavoro, costellato da film notevoli, probabilmente il periodo migliore della carriera. Vi troviamo infatti un mirabile esempio di biografismo e cinema, come Manhattan (1979), commedie corali di drammaturgia complessa e fluida, come Hannah e le Sue Sorelle (1986), Settembre (1987) e Crimini e Misfatti (1989), intriganti grovigli di falsificazioni filmiche come Zelig (1983) e La Rosa Purpurea del Cairo (1985), un amarcord al ritmo di jazz come Radio Days (1987), e quel piccolo capolavoro di linearità e tematiche alte che è Broadway Danny Rose (1984).
In questa lunga fase di grande ispirazione espressiva, forse il solo esito incerto è Stardust Memories (1980). Film sulla crisi esistenziale e creativa di un regista (lo stesso Allen) ambientato in un grande albergo termale, strutturato sulla rielaborazione di testi filmici preesistenti, esso risulta però troppo evidentemente ispirato – al limite del plagio, secondo alcuni – al capolavoro di Fellini 8 ½ (1963).
Nella densa opera finora ricordata si trova già tutto Woody Allen, il cineasta infaticabile che da oltre quarant’anni sforna circa un film all’anno. Negli ultimi due decenni, infatti, la sua produzione non conosce soste, si arricchisce in particolare dell’apporto di attori ed attrici inusuali per il panorama alleniano: Alan Alda, Goldie Hawn, Julia Roberts, Leonardo Di Caprio, Melanie Griffith, Winona Ryder, Scarlett Johansson. Rimangono invece invariati lo stile e la poetica, come sempre tesi ad affermare che l’arte mistifica la vita, e viceversa. Che esse sono inscindibilmente incanalate su binari nevrotici, onirici e psicanalitici, tratti spesso compresenti nell’ordito della stessa opera. E bisogna anche riconoscere in Allen uno dei pochi autori in grado, con i film migliori, di giungere alla commistione perfetta tra linguaggio del cinema e linguaggio di altri media, in particolare la televisione.
Piace infine sottolineare come una piccola fetta della fama italiana sia di certo dovuta al suo storico doppiatore Oreste Lionello, bravissimo attore di avanspettacolo e teatro leggero da poco scomparso. Lunga vita invece a Woody, il più vitale – e spesso originale – falsario della storia del cinema.