Forza, carattere, intensità. Novanta minuti ruggenti, d’altri tempi. Diciamo così, tempi da Lippanti. La Juve non solo ha vinto, ma ha schiantato il Milan. Due gol fortunosi, certo, inseguiti e trovati in “zona Cesarini”, ma – come dice il proverbio – la fortuna aiuta gli audaci. E la Juve di audacia in campo ne ha messa veramente tanta. Conte continua a predicare umiltà, ricorda che bisogna stare con i piedi ben piantati per terra e dice che la Juventus “è una squadra che sta studiando per diventare grande”. Ebbene, con la partita di ieri sera la “studentessa Juve” ha dato una bella prova di maturità: un ottimo voto sul fronte della condotta (cioè dell’atteggiamento e dell’impegno) e un buon voto per lo svolgimento del tema proposto (attaccare e lavorare ai fianchi l’avversario per demolirlo alla distanza) in quello che era da tutti considerato come il compito in classe più difficile di questo inizio campionato.
Il successo sul Milan, frutto soprattutto di un pressing ossessivo in ogni zona del campo, più che riportare alla memoria certe memorabili vittorie, contrassegnate per esempio da colpi di tacco leggendari (do you remember Bettega?), ha ricordato per molti versi la vittoria con l’Ajax del 22 maggio 1996 nella finale di Coppa Campioni giocata a Roma. Quanti parallelismi e quante similitudini.
Partiamo dalla panchina. Ieri sera Conte, il giocatore più trapattoniano della Juve, ha messo in campo una squadra in puro spirito lippiano. Riandando con la memoria alle immagini e ai ricordi di quella notte del maggio ’96, con l’Ajax fu vittoria ai rigori, dopo fiammate di intensità vibrante, grandi sofferenze, pause salutari per riprendere fiato (in cui il palleggio dei lancieri olandesi sembrava avere la meglio), occasioni da gol create ma sprecate.
Con il Milan, le stesse sensazioni, lo stesso film della partita. Folate improvvise e micidiali, alternate a momenti di pausa, dove la squadra arretrava per rifiatare, ma in questo caso lasciando ai rossoneri un “titic-titoc” più inoffensivo: ottima a tal proposito la disposizione tattica, con un 4-1-4-1 che non dava al Milan profondità (non a caso lo stesso Conte a fine match ha ammesso che non se l’è sentita di cambiare modulo e giocatori, rovinando un equilibrio tattico quasi perfetto e micidiale).
Poi, come nella finale con l’Ajax, anche ieri allo Juventus Stadium, all’improvviso, sull’onda di un Marchisio straripante per brillantezza fisica e di un Vidal incuneato come una spina velenosa tra le due linee del Milan, la Juve dava vita ad accelerazioni repentine, abbattendosi come uno tsunami sul reparto arretrato del Milan. Un’onda d’urto che con il passare dei minuti, anziché affievolirsi, aumentava d’energia, il segno più evidente che la squadra sentiva di poter vincere, anzi voleva vincere a tutti i costi.
Ma i parallelismi non finiscono qui. Nel ’96 fu una notte da incorniciare per il terzino venuto dal nulla, quel Moreno Torricelli, pescato nella Caratese, squadra di dilettanti nel cuore della Brianza, capace di arare il campo chissà quante volte e ancora a pochi minuti dalla fine del secondo tempo supplementare, al limite dello sfinimento per crampi, di vincere un tackle e di fiondarsi imperioso verso il fondo per effettuare l’ennesimo cross della partita. Quel Torricelli è tornato a rivivere nelle sgroppate di Stephan Lichtsteiner, che nel primo tempo ha corso per sé e per Krasic e nel secondo ha fatto venire la lingua fuori al povero Seedorf. Una bella novità vedere una sorta di “Maicon bianco” per chi negli ultimi anni ha dovuto mestamente vedere sulla fascia destra interpreti modesti e timidi come Grygera…
Il perno di questa squadra comunque si è confermato Pirlo, il professore del centrocampo: era dai tempi di Paulo Sousa che la Juve non si ritrovava con un metronomo di questo spessore tecnico-tattico. Un professionista così serio da riuscire ad annullare l’emozione di 12 anni passati proprio con la casacca degli avversari: mai una debolezza, mai un’amnesia, mai un “regalo” ai suoi ex compagni.
Note positive anche per Bonucci (un po’ più presente e agonisticamente cattivo rispetto alla scorsa stagione), Barzagli (ottimo francobollatore di Ibrahimovic, visto che in fondo gli è scappato via solo in un’occasione), Chiellini (ha ritrovato la grinta e ha garantito una buona spinta sulla fascia sinistra), Buffon (reattivo come ai bei tempi sull’unica mezza occasione del Milan creata da Boateng) e Pepe (tatticamente utile nel suo compito a elastico tra spinta offensiva e coperture difensive). Un elogio a parte merita invece Vucinic: è riuscito sempre a sfuggire alla morsa di Nesta e Thiago Silva, venendo incontro ai centrocampisti e aprendo loro varchi interessanti, facendo oltretutto vedere alcuni “colpi di biliardo”: splendidi sia il pallone calciato da fermo che Abbiati con la punta delle dita è riuscito a deviare sulla traversa nel primo tempo, sia il tocco di sponda, di prima intenzione, sul gol di Marchisio che ha sbloccato il risultato.
Insomma, tre punti pesanti, vetta della classifica, bel gioco, intensità da far paura. Sì, una vera domenica da leoni. Pardon, da “zebre ruggenti”.