Ieri pomeriggio, in una conferenza stampa convocata a sorpresa, Diego della Valle già titolare dell’8,7% di Rcs ha dichiarato di essere interessato a sottoscrivere tutto l’inoptato dell’aumento di capitale delle banche per arrivare a detenere una partecipazione anche superiore al 20%. La conferenza stampa arriva a pochi giorni dal comunicato con cui Fiat, settimana scorsa, aveva annunciato di aver comprato un numero tali di diritti sul mercato che le consentiranno di arrivare a detenere al termine dell’aumento di capitale da 400 milioni di euro il 20% della società editrice de Il Corriere della Sera. Non c’era voluto un grande acume politico-finanziario per capire che la mossa degli Agnelli aveva messo all’angolo Della Valle ormai abbondantemente doppiato nella quota azionaria di Rcs. Come già si era commentato dalle colonne di questo quotidiano, la mossa degli Agnelli era stata particolarmente efficace e intelligente e l’opportunità ghiotta che si era presentata per cambiare a proprio favore gli equilibri nel Corriere era stata abilmente sfruttata.
Ieri l’imprenditore marchigiano si è lamentato sostenendo che non gli sia sembrata “una cosa giusta comprare diritti sul mercato” e che “acquistarli era una delle cose meno difficili e meno costose da fare”. L’acquisto è stata invece un’operazione di mercato perfettamente legittima, oltre che estremamente utile ai fini di Fiat, detentrice del pacchetto. Da questo punto di vista le lamentele di Della Valle non sembrano particolarmente giustificate e anzi rappresentano il miglior attestato possibile alla bravura e alla “vittoria” degli Agnelli. La mossa è stata così efficace che Della Valle ha dovuto reagire per uscire dall’angolo nell’unico modo che aveva a disposizione e cioè tentando di avvicinarsi il più possibile, se non addirittura provando a sorpassarla, alla quota che Fiat verrà a detenere.
Ma il piano annunciato ieri dal proprietario di Tod’s contiene un decisivo “se”. Gli Agnelli hanno diffuso il comunicato ad acquisti fatti, Della Valle ha annunciato un piano che “se funzionerà” permetterà all’imprenditore di “prendere anche tutto l’inoptato e quindi anche più del 20%”. La differenza è evidentemente sostanziale, perché nel primo caso è stata annunciata un’operazione perfettamente conclusa, nell’altro un progetto. Il fatto è noto allo stesso Della Valle, che appunto ieri precisava di sperare “che non ci sarà una battaglia”. Quale battaglia? Quella sull’inoptato che dovrà essere piazzato e su cui potrebbe arrivare più di un compratore, oltre a Della Valle, rendendo incerto sia il prezzo (in caso di battaglia salirebbe) che l’acquisto.
Il progetto dell’imprenditore marchigiano prevede la “convivenza con Fiat a condizione che si condivida la revisione del piano e si vari una governance moderna”, mentre viene auspicato un azionariato/governance con “5 azionisti al 10% che governino l’azienda con competenza”. Se gli Agnelli siano disposti dalla loro posizione di forza, anche in virtù degli altri azionisti “amici”, a sposare questo disegno e a condividere l’onore e l’onere della gestione del Corriere con Della Valle è un altro discorso. Per capire l’aria che tira non servirà aspettare molto e già oggi si avranno le prime risposte.
Al momento quello che non si può non rilevare è che un altro imprenditore è disposto a buttare 80 milioni di euro per l’aumento di capitale di una società che due giorni fa ha festeggiato in borsa con un -30%. Lo sappiamo, era decisamente probabile che l’azione si allineasse al prezzo dell’aumento, ma, diciamo, la performance di cui sopra non è un gran segnale di ottimismo da parte del mercato. D’altra parte il settore media in Italia versa in condizioni tragiche causa crisi e calo della pubblicità, oltre che di trasformazioni epocali (l’online), che rendono davvero difficile comprendere quale possa essere lo scenario del settore in un orizzonte temporale di 5 anni. Per la cronaca nessuno può escludere che nei prossimi due o tre anni non venga esercitata la delega per un ulteriore aumento di capitale dato che il cda di Rcs, a marzo, aveva deciso per un aumento di capitale di 600 milioni entro il 2015, da realizzarsi per almeno 400 milioni entro luglio.
Non dovrebbe sorprendere nessuno sostenere che non siano le prospettive economiche di Rcs ad attrarre un parterre di imprenditori e società così importante e prestigioso e che non si tratti di utili futuri, o di innovazione o di un particolarmente nuovo settore tecnologico e industriale. Si sta consumando una battaglia per un oggetto molto importante nel panorama politico e finanziario italiano. Che una parte così importante dell’imprenditoria, della finanza e dell’economia italiana si stia affrontando in questo modo nell’attuale situazione economica italiana non può non lasciare, come minimo, qualche perplessità; ma siamo troppo buoni perché perplessità è un’evidente minimizzazione: è davvero un triste spettacolo.
Mai come negli ultimi mesi gli imprenditori hanno scalato punti nella classifica della simpatia (nel caso di chi scrive era già molto alta) con in alcuni casi suicidi finiti sui giornali a fronte dell’impossibilità di garantire la sopravvivenza dell’azienda. I proclami sull’arretratezza del sistema italiano, sull’inefficienza della macchina burocratica, sulle storture sindacali, fiscali, ecc. che ci siamo tutti dovuti sorbire stridono e nemmeno di poco con quello a cui stiamo assistendo. Sarà una parte, una minoranza su una moltitudine, ma il danno di immagine è devastante.
Oltre al danno d’immagine rimangono le centinaia di milioni di euro che si sono dovute buttare per la sopravvivenza di una società nel cui azionariato, in teoria, c’era una parte così importante della finanza e dell’economia italiana. Sinceramente continuiamo ad assistere attoniti in attesa del prossimo articolo, magari di un professore “americano”, sulla decadenza dell’Italia, sulla rendita di posizione, sulla mancanza di cambiamento e innovazione; degli altri ovviamente.
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