Io me la vedo già la scena: cinquantenne, in evidente sovrappeso, capelli tinti e due cellulari. Sta andando al cenone di Capodanno, con la moglie e i due figli grandicelli che sembrano diretti a un supplizio. E ne han ben donde: il copione è sempre quello, ormai da anni e sempre in peggio.
Si inizia con il prosecchino e le tartine con burro e salmone e poi via con tanta roba, compresi gli immancabili voul au vent e le patatine. Dopo i primi saluti col sorriso, il papi è già sul divano che manda gli sms, mentre l’amico di fronte che non vedeva ormai da tanto tempo sta leggendo sul display del nuovo iPad i messaggi su Facebook. I figli già si sono parcheggiati davanti alla playstation, di fianco ad altri coetanei con l’iPod che ascoltano una musica dall’auricolare.
Ci si muove attorno al tavolo, sedendosi o alzandosi, mai per l’invito di qualcuno, semplicemente perché arriva il cocktail di gamberetti in salsa aurora, poi i cannelloni ripieni, il risotto allo champagne (scotto), prima del branzino al cartoccio e dell’anatra all’arancia. Ma guai a non mangiare anche il cotechino con le lenticchie (portano soldi, dirà qualcuno), mentre le portate ci avranno condotti sulla soglia delle 23:40, quando attoniti, mangiando frutta e secca e aspettando i dolci (il panettone con la crema di mascarpone, eh), si seguirà il programma in onda su Raiuno, per sintonizzarsi con il botto: ancora Prosecco, addirittura uno Champagne; poi il bacio a mezzanotte, i botti, le mutandine rosse, e infine al cellulare a inviare e a leggere altri sms. Sono le 2, si torna a casa. “Cacchio che mangiata, domani mi metto a dieta”. E via un bel rutto.
Io me la sogno ormai la scena: arrivi in una casa, e per educazione spegni il cellulare, perché gli auguri li hai mandati anzitempo a chi di dovere. C’è un brindisi di augurio, con la televisione spenta. Chi ci ha accolti ha pensato di farci sedere a cerchio nella sala. C’è una parete bianca, le luci si spengono e sotto a una musica di Chopin scorrono le immagini più belle di un anno: volti, luoghi, oggetti.
Li ha messi insieme lei, che fa fotografie per hobby, cogliendo gli istanti della quotidianità; le musiche le ha scelte lui, preparando questa festa con tutta la famiglia il giorno di Santo Stefano. Poi una ragazza del quartiere suona un brano col violino, dal vivo. E l’aperitivo è questo. In tavola qualcosa da spizzicare, come quella coppa fantastica col pane di Ferrara, ma non troppa roba perché poi arriverà lo zampone servito in tre maniere: tiepido in insalata con il melograno, ripieno con le verze e infine cotto a bagnomaria con le lenticchie in umido. Ci sono verdure di ogni genere di cui servirsi. E un vassoio di formaggi.
Alle 22:30 Carlo ha organizzato un gioco e ci si conosce meglio tutti, fin sulla soglia della mezzanotte, quando il padrone di casa aprirà la bottiglia memorabile della sua cantina, che non fa il botto, ma si ricorda a lungo. A quel punto c’è chi ha preso la chitarra: si canta insieme, si balla, e poi si gioca regalandosi del tempo.
Domani parleremo ancora di questa serata, dove sogno di aver avuto la sensazione che qualcuno mi abbia offerto non la forma trita e ritrita di una festa che ci tocca fare, ma qualcosa di sé. Che era per me. E si chiama, timidamente, tentativo di bellezza. Che bella festa: anche i ragazzi hanno visto qualcosa di diverso.
E domani non mi metto per nulla a dieta: tra una lettura di un bel libro e qualche telefonata ai genitori e amici, ci facciamo una bella pasta all’italiana con un brut salvato… da quel botto idiota di una mezzanotte a rischio: d’essere uguale a tante altre.