Da qualche settimana l’andamento delle borse ha smesso di occupare le prime pagine dei giornali e i servizi di apertura dei principali TG; più che a un miglioramento della situazione, il venir meno dell’attenzione dei media è imputabile alla noia che susciterebbe il dover raccontare ancora una volta l’ennesimo calo sensazionale dei mercati.
Finora infatti non è emerso alcun elemento che possa far cambiare la rotta o che riesca a mutare le prospettive degli investitori, anzi negli ultimi giorni una lunga striscia di dati macroeconomici negativi ha confortato le previsioni pessimistiche degli operatori.
Tra i più recenti spiccano il maggiore calo mensile degli occupati nel settore privato Usa degli ultimi sette anni e il maggior calo della produttività dal 1987 del settore manifatturiero (ancora negli Usa). Da questa parte dell’oceano si segnalano il crollo della fiducia di consumatori e imprese che settimana scorsa hanno dato un segnale inequivocabile ai mercati.
Per quanto riguarda il 2008 l’unico mistero che si attende di svelare è l’andamento delle vendite natalizie (non ci facciamo illusioni), mentre il quarto trimestre ci consegnerà dati molto negativi sull’andamento degli ordini e del fatturato delle imprese. In questo momento il grande interrogativo è quanto tempo occorrerà per uscire dalla crisi, in particolare per quanti mesi del 2009 si dovrà stare col fiato sospeso prima di vedere i primi segnali di inversione.
La convinzione profonda che almeno i primi sei mesi del 2009 saranno ancora di grande sofferenza per il settore produttivo rende impossibile qualsiasi miglioramento a breve delle quotazioni di borsa. L’attenzione dei mercati è dominata dall’evoluzione del quadro macroeconomico e non c’è spazio per considerazioni di altro tipo, tanto meno per la scelta di ritornare a investire in azioni o per decidere su quali settori o imprese scommettere.
Solo per rendere l’idea, uno dei tanti indicatori che si ritengono da sempre efficaci nel dipingere lo stato dell’economia, il livello dei noli (quanto si paga al giorno per affittare una nave che trasporta merci), è oggi ai minimi di sempre e il calo non sembra trovare fondo. Azzardare una previsione sul tempo che le borse impiegheranno per uscire dalle secche è equivalente a tentare di prevedere quando finirà la crisi economica. L’unica differenza riguarda l’abituale anticipo che le borse hanno (quattro o cinque mesi in media) rispetto alla reale inversione dell’economia.
Uno scenario tipo si può riassumere brevemente con alcune semplici considerazioni. Se la crisi non sarà apocalittica, e finora le azioni a tutela del sistema finanziario e gli sforzi dei Governi fanno ben sperare, avremo sei-nove mesi di recessione acuta mentre fino al primo trimestre 2010 non dovrebbero emergere significativi segnali di recupero. Finita questa via crucis l’economia dovrebbe rialzare la testa dopo che i mercati da alcuni mesi avranno già dato timidi segnali di risalita. Nel frattempo petrolio e tassi di interesse bassi dovrebbero almeno lenire le sofferenze delle famiglie e delle imprese.
Allo scenario tipo appena descritto (ovviamente quello che attrae il maggior numero di consensi e non per forza il più probabile), non si può aggiungere altrettanto facilmente una previsione su come cambierà il sistema economico dopo le riforme che verranno messe in atto. La giusta preoccupazione per la sopravvivenza rischia di mettere in secondo piano le conseguenze delle riforme che nei prossimi mesi verranno introdotte e che dureranno per lungo tempo.
A questo riguardo sembrano purtroppo poche le differenze tra i dibattiti degli economisti e le discussioni che regnano sui mercati, tutti quasi inevitabilmente concentrati sulla soluzione dei problemi più contingenti. Che tipo di banche vogliamo avere, quale sistema di tassazione è più efficace, su che settori e soggetti occorre investire sono le vere sfide di oggi tanto più che mai come ora è possibile cambiare in un senso o nell’altro le regole del gioco.