Il partito repubblicano vagheggiato da Silvio Berlusconi, che dovrebbe riecheggiare i fasti del Grand Old Party americano mentre da noi sembra ricordare soltanto la dinastia La Malfa, raccoglierebbe tra il 23 e il 30 per cento: una «forbice» piuttosto ampia fissata da due sondaggisti come Alessandra Ghisleri (valore più alto) e Renato Mannheimer (eventualità meno favorevole). Ovviamente, ciò si verificherebbe se il Cavaliere — o chi per lui — riuscisse a mettere assieme il cosiddetto centrodestra moderato: espressione che qualche anno fa aveva un senso, mentre oggi rappresenta piuttosto una fascia di elettori delusi, disorientati, divisi ed estremamente incerti sul da farsi.
Le ipotesi alla base di quelle rilevazioni sono tutt’altro che assodate. Non si sa chi si assumerà la responsabilità di rimettere assieme i cocci, se Berlusconi o uno dei suoi colonnelli oppure un uomo nuovo tutto da inventare. Ed è da vedere se i frammenti del Pdl avranno l’interesse e la forza di rimettersi assieme come se nulla fosse. Ma c’è un terzo fattore, il più sorprendente: mentre l’ex premier continua a proclamare unità e ricomposizione, i fatti parlano di uno sgretolamento inarrestabile.
Raffaele Fitto detto «Chi?» con tutta probabilità farà ottenere al suo candidato in Puglia, Francesco Schittulli, più voti di quelli che prenderà Adriana Poli Bortone, sostenuta dal Cav. I due milioni di suffragi presi da Fitto alle europee lasciano pochi dubbi su chi sia il vero «signore delle urne» da quelle parti. Denis Verdini pare pronto anch’egli all’addio. Ma non andrebbe a mescolare i suoi fedelissimi con quelli di Fitto dopo le regionali; sarebbe invece intenzionato a spostarsi verso Renzi con il quale ha scritto l’Italicum.
I due ex dioscuri di Berlusconi gufano contro colui che ha preso il loro posto, cioè Giovanni Toti, giornalista Mediaset diventato consigliere politico del Cavaliere e oggi candidato lanciatissimo per guidare la regione Liguria. Le divisioni interne al Pd, che ha due candidati esattamente come Forza Italia in Puglia, regalano a Toti possibilità insperate. Alle crepe interne si aggiunge il calo di popolarità di Matteo Renzi, sfiduciato da insegnanti e pensionati.
A ben vedere, chi guadagnerebbe davvero dal vacillare renziano non è Forza Italia ma i 5 Stelle o la Lega. Un elettore arrabbiato e spaesato, se volesse rafforzare un movimento di opposizione a Renzi, sceglierebbe tra Grillo e Salvini, oppositori della prima ora, e non Berlusconi che ha flirtato a lungo con il governo, addirittura votando al Senato l’Italicum, e poi ha compiuto il voltafaccia. Nelle urne l’originale ha sempre la meglio sulla copia, e in questo caso Forza Italia è l’ultima arrivata nel campo degli oppositori.
Ancora ieri l’ex premier ha negato un riavvicinamento con la maggioranza: «Via via la personalità di Renzi è venuta fuori e noi via via abbiamo cominciato a ricrederci su quello che stavamo facendo». Berlusconi ha ribadito il rischio della «deriva autoritaria» renziana per fermare le voci di un possibile rilancio del Nazareno. Il che la dice lunga sulla confusione che continua a regnare tra gli azzurri.
Il fallimento di Toti in Liguria di fronte a una sinistra spaccata sarebbe fatale per i progetti berlusconiani. Fitto e Verdini gufano contro. E gufa pure Matteo Salvini, che riuscirà (così pare) a riconfermare Luca Zaia in Veneto e si prepara a marciare sulle rovine del centrodestra trasformando la Lega Nord in «Lega l’Italia» e a trattare con il «repubblicano» Berlusconi da una posizione di forza. Salvini, Grillo, Fitto, Verdini, quattro gufi-moschettieri contro l’imperatore Silvio che si difende in groppa all’elefantino a stelle e strisce. Una storia già scritta?