Ha suscitato discussione sui media l’affermazione del “leader” occulto del Movimento 5 Stelle, Davide Casaleggio, circa la possibile scomparsa del Parlamento nel giro di un decennio. Al Posto dei “Direttori” e dei partiti, Casaleggio pensa al computer, alla rete che potrebbe persino far risparmiare la camminata verso un seggio e, nell’ambito di un sistema informatico, sostituire anche il Parlamento e il dibattito parlamentare.
È sotto gli occhi di tutti la crisi di credibilità che attraversano da tempo la politica e le istituzioni nel nostro Paese. Da anni, infatti, soprattutto in tema di esigenze economiche, i cittadini sentono di non avere più voce in capitolo e, quel che è peggio, sospettano che anche i loro rappresentanti l’abbiano persa, esautorati da poteri sovranazionali che stanno chissà dove.
Contemporaneamente è venuto meno in Italia un punto di forza storico: i corpi intermedi, cioè tutti quei luoghi di aggregazione reale in cui le persone potevano dialogare, essere sostenute, crescere in consapevolezza e capacità di iniziativa e critica. La crisi dei corpi intermedi ha aperto la strada a “uomini soli al comando” che hanno cercato di fare della comunicazione e dei nuovi media il loro punto di forza, a discapito della relazione, dello scambio ragionato di vedute, della condivisione di soluzioni possibili, dell’approfondimento lontano dai riflettori, e quindi a discapito della serietà con cui vengono trattati i contenuti.
In definitiva, si sono inceppati i meccanismi che garantiscono la rappresentanza e quindi l’idea stessa di democrazia sembra ora messa in discussione. “La democrazia è un paradosso”, diceva Joseph Schumpeter, un grande economista che non avrebbe mai sacrificato l’impianto democratico di uno Stato alle ragioni dei conti economici o ai cambiamenti tecnologici. Temeva che, alla fine, la democrazia rappresentativa sarebbe stata sconfitta, pensando soprattutto all’informazione responsabile che richiedeva ai cittadini. Ma tuttavia sperava che quel paradosso, per cui il cittadino votava per uno che lo rappresentasse in Parlamento e che probabilmente non avrebbe mai conosciuto, continuasse a funzionare, garantendo diritti individuali, una giustizia sociale abbastanza diffusa e un sistema economico efficiente.
I Parlamenti hanno un’origine millenaria e la strada verso la democrazia è stata quasi sempre scandita dalla lotta, lunghissima, tra i rappresentanti del popolo, nominati o eletti in questi Parlamenti, contro il sovrano e i rappresentanti della nobiltà e del clero, che detenevano di fatto il potere statale, giurisdizionale ed economico. La storia racconta i terribili scontri, le guerre tra Stati e le guerre civili, le tragiche vicende che risalgono all’antichità, addirittura all’Atene di Clistene e Pericle, agli scontri nel Senato a Roma (persino in epoca imperiale), al ruolo svolto nei liberi Comuni del Medioevo.
Nel momento in cui il Parlamento è stato cancellato o esautorato nelle sue funzioni di garantire la dialettica democratica tra maggioranza e opposizione, in nome di una fantomatica democrazia diretta, la democrazia è morta. Il rischio è sempre stato presente sin dalle prime rivoluzioni democratiche e dalla storia dell’Ottocento e del Novecento. Fu così, per citare un paio di esempi, che si arrivò al “Terrore”, nella seconda fase della Rivoluzione francese, secondo Francois Furet e Edmund Burke, con un “Direttorio” che pontificava in nome di un popolo sovrano che era rappresentato dai sanculotti giustizieri e autentici esponenti del potere popolare. Il Direttorio era in fondo l’espressione della maggioranza e quindi aveva diritto di vita e di morte. Un’aberrazione.
Il secondo esempio viene dall’ordine sovietico di Lenin. Il cosiddetto “marxismo post-classico” crea un nuovo Direttorio che decide per tutti, in questo caso con un colpo di Stato, perché non ha neppure la maggioranza. Mentre, nazismo e fascismo nascevano in contrapposizione diretta contro la democrazia, giacobinismo e sovietismo miravano a una democrazia diretta, ma l’esito è comunque sempre stato disastroso.
In sostanza, per lezione storica consolidata, il Parlamento è il luogo della massima rappresentanza possibile, il garante della democrazia. È nel Parlamento che si decide una politica di maggioranza e l’elezione di un esecutivo; è il Parlamento che alla fine vigila, legiferando e correggendo, sui poteri e i contropoteri dello Stato; è il Parlamento che tutela le minoranze e scongiura quella che Alexis de Tocqueville chiamava la “dittatura della maggioranza” (o, detto in altro modo, il dilagare del pensiero unico).
Bisognerebbe guardare a ciò che è successo nella prima parte della prima repubblica quando maggioranza e opposizione hanno contribuito, nel rispetto dei ruoli, a legiferare per un condiviso bene comune. Quante leggi fondamentali per il Paese hanno visto la luce nell’oscuro lavoro delle commissioni in cui deputati di diverso orientamento collaboravano a positive e utili soluzioni condivise! Perciò, ben vengano oggi strumenti che possono aiutare una maggior partecipazione delle persone alla vita pubblica, ma il Parlamento non potrà mai essere equiparato all’espansione dell’e-commerce e non è auspicabile consegnare alle multinazionali della rete, che possiedono i dati dei cittadini del mondo, il meccanismo della formazione dei nuovi equilibri politici di una nazione.
Ma soprattutto, non va dimenticato che il popolo non è mai una realtà indivisa e omogenea. Grazie a Dio, vive di una linfa che è data dalle differenze, dal pluralismo di interessi, opinioni, orientamenti, anche minoritari. La pluralità è la ricchezza fondamentale della democrazia e non può che essere rappresentata nei Parlamenti.
Un Paese in difficoltà e insicuro di sé, come il nostro, deve riscoprirne il fondamentale ruolo evitando di imboccare scorciatoie che lo esautorino abdicando a qualche tecnocrate.