«I cittadini non possono avere dubbi […] sulle banche vigila la Banca d’Italia: prima di proiettare ombre su questa istituzione è bene pensarci due volte» ha scritto il 22 dicembre su Il Corriere della Sera, Giavazzi. E pertanto, solo dopo una rinnovata riflessione, mi accingo ad affrontare esplicitamente un argomento che proprio con l’inizio dell’anno assume il carattere di ombra profonda.
Le scelte politiche che andranno fatte a breve, poiché riguardano la ristrutturazione post-crisi del sistema bancario italiano, non riguardano solo gli economisti ma avranno un impatto rilevante sulla vita quotidiana. Ancorché argomenti molto tecnici, quali core tier , affrancamento dell’avviamento, azioni privilegiate, usufrutto, con essi si dovrà confrontare l’intervento pubblico a sostegno del sistema bancario, e saranno poi imprese e famiglie – quali utenti finali del sistema – a subire le conseguenze di tali scelte. Non hanno, quindi, i cittadini il diritto al dubbio?
Proviamo ad analizzare il quadro di riferimento.
Il 2008 è trascorso senza che sia stato rispettato il perentorio termine di tre anni concesso, dopo quasi 10 di illegittimità, il 28 dicembre 2005 (con l’art. 19 del decreto legge 262) per definire l’assetto proprietario di Banca d’Italia. Ancora non trova applicazione l’obbligo di cessione delle quote di partecipazione al capitale dell’Istituto da parte delle Banche – ormai non più pubbliche – e dei privati. Fra i soci, con i diritti di controllo spettanti, vi sono oggi, oltre alla maggior parte delle banche italiane (le controllate!!!), persino la francese BNP, la tedesca Allianz, le società quotate Fondiaria-SAI e Generali, e, tramite UniCredit, partecipa ora anche la Banca di Stato libica.
Questo abnorme conflitto di interessi, che lega fra loro controllore e controllati, è da solo sufficiente a proiettare ombre sull’attività di Banca d’Italia.
Non è in discussione la professionalità e l’esperienza di Mario Draghi e dei componenti le strutture operative, né esistono sospetti sull’onestà e correttezza delle persone, ma non possiamo confondere la funzione con il funzionario.
È errato identificare l’indipendenza statutaria della Banca d’Italia con la personale indipendenza del Governatore, che non può rifiutarsi di rendere conto del proprio operato al Governo e al suo Ministro.
Gianni Credit, su questa testata, ha descritto lo scontro fra Tremonti e Draghi in occasione della nomina del nuovo Direttore Generale, ma forse si tratta di scontro fra chi ritiene centrale il ruolo dello Stato e chi pensa che l’autoreferenzialità di un gruppo di persone, che detiene un potere senza rappresentanza e , soprattutto, senza rischi personali, faccia premio sul bene comune.
Aggiunge comunque Giavazzi nel suo articolo: «Né Tremonti, né alcun altro ha mai messo in dubbio la trasparenza di Draghi», ma sbaglia.
La trasparenza di Banca d’Italia è continuamente messa in dubbio dalla sua stessa governance, che oltre a prevedere uno statuto degno di un episodio di Harry Potter (Governatore, Direttorio, Consiglio Superiore per designare le strutture amministrative), rimette il potere giuridico delle nomine e delle deliberazioni assembleari in mano agli stessi soggetti che devono essere controllati.
Non meraviglia che il sito internet di Banca d’Italia sia scarno, criptico e non aggiornato.
È inutile cercare di conoscere l’attività svolta dai Consiglieri, la data della nomina o il loro compenso. In questo contesto pensare di essere informati sull’esito delle visite ispettive e sulla esistenza o meno di responsabilità nelle Banche “controllanti”, oops! vigilate, è definibile fantagovernance.
Lo Stato italiano è solo un socio non ufficiale, privilegiato nella ripartizione degli utili, ma senza quote patrimoniali: in sostanza, il valore di Banca d’Italia, da valutarsi in miliardi di euro, non appartiene più ai cittadini italiani.
D’altro canto questo stesso dato è lasciato in grande ombra: i bilanci delle banche partecipanti forniscono numeri completamente diversi fra loro, nel rapporto di uno a dieci. Gli uffici di via Nazionale, per non sbagliare non ne hanno contestato nessuno.
Solo affrontando il problema delle quote si potrà fare luce sulla natura economica e giuridica di quello che a oggi resta una lesione permanente degli interessi generali.
La cessione delle partecipazioni dovrà essere oggetto di trattativa alla luce del sole e nell’interesse dei veri stakeholder – i cittadini italiani – riportando il controllo di Banca d’Italia in mano pubblica, senza paventare che ciò diminuisca la sua indipendenza.
Ci permettiamo di ricordare a Draghi che l’art. 3 dello Statuto prevede che il trasferimento delle quote avvenga su proposta del Direttorio. Per affermare l’autonomia della Banca d’Italia, basta che solleciti l’emanazione del regolamento previsto dal decreto 262 da parte del Governo e faccia conoscere le sue proposte di cessione, incluso il prezzo ritenuto congruo.
E se , in mancanza di ciò, i cittadini italiani, insieme al Ministro Tremonti, dubiteranno della sua infallibilità, il Governatore non se l’abbia a male: persino la moglie di Cesare era soggetta al ragionevole dubbio.