Stasera Silvio Berlusconi siederà per la prima volta sulla poltrona degli ospiti di Fabio Fazio e sarà uno spettacolo da non perdere. Da consumato protagonista del palcoscenico televisivo e politico il Cavaliere si giocherà una delle sue carte a sorpresa. E potrebbe essere l’ennesima capriola che cambia radicalmente direzione alla sua azione politica.
Ricapitoliamo gli ultimi due anni e mezzo vissuti rocambolescamente dal Cav. A novembre 2012 egli era al governo con Mario Monti, scaricato in dicembre per bocca di Angelino Alfano che allora era il delfino designato. Febbraio 2013: il Pdl guasta la festa di Bersani, poco dopo invoca la rielezione di Giorgio Napolitano, quindi sostiene il governo Letta. Ma ad agosto con la sentenza definitiva di condanna per Berlusconi il sostegno all’esecutivo viene meno, torna Forza Italia e Alfano se ne va. In febbraio Renzi scalza Letta e Berlusconi stringe con lui il patto del Nazareno per fare insieme le riforme: con un piede sta nella maggioranza e con l’altro all’opposizione.
Quando poi al Colle sale Mattarella, Silvio s’impunta e manda tutto all’aria passando all’opposizione e contestando i provvedimenti che i suoi colonnelli avevano contribuito a scrivere. In piena campagna elettorale annuncia che fonderà il Partito repubblicano, che non è il massimo per rassicurare l’elettorato, salvo poi rimangiarsi il nome all’americana. Specifica che guiderà lui la transizione, per poi contraddirsi ancora: «Ci sarà un mio erede». Niente primarie e neppure un’investitura come nel feudalesimo, ma un ballottaggio tra due o tre persone. Ieri ha specificato che gli piacerebbe fosse una donna (chi l’avrebbe mai detto?) e tutti pensano a Mara Carfagna. Non le fa un grande favore: se nemmeno lui domenica prossima riuscirà a raggiungere il 10 per cento, cosa potrà fare l’erede? Aggiungiamo i tentennamenti sul Milan e il quadro del disorientamento berlusconiano è completo.
Matteo Salvini ha gioco facile a scontrarsi con il 78enne leader azzurro. Il segretario leghista ha scelto una tattica diametralmente opposta: nessuna ambiguità, niente giravolte, ma messaggi diretti a costo di essere grossolani quanto immediati per le orecchie del proprio elettorato. Impugnando la bandiera lepenista, Salvini è già un erede del berlusconismo, o almeno di una sua parte, quella che non vuole sentire parlare di riforme ma di tasse da abbattere e immigrati da fermare. Quanti elettori (ma sarebbe opportuno parlare di ex elettori) di Berlusconi gli rimproverano le esitazioni di questi due anni fino a imputargli quella mancanza di coraggio dimostrata oggi da Renzi quando, per esempio, attacca i sindacati e cancella l’articolo 18?
Salvini cerca lo scontro perché in campagna elettorale le differenze vanno enfatizzate, non nascoste; nel battibecco sulle mancate primarie del centrodestra c’è dunque una componente fisiologica che però sorprende, perché Lega e Forza Italia sono alleate all’opposizione e pure in regioni-chiave come il Veneto.
Tuttavia è evidente che il capo delle camicie verdi non perde occasione per lanciare la sua Opa sulle spoglie di Forza Italia. Salvini ha già annunciato che il 2 giugno, a urne chiuse, lancerà una nuova proposta politica. Alzare i toni dello scontro è funzionale a questa strategia.
Il successore di Bossi e Maroni sa bene che molti non lo seguiranno, ma la radicalizzazione del confronto è tutta a suo favore, anche dal punto di vista mediatico. Salvini è un erede di Berlusconi anche perché gli piace fare la vittima: il Cav era perseguitato dai magistrati, il leghista dai centri sociali. A ognuno il suo nemico. Quanto invece a una proposta politica che possa aggregare varie forze, rappresentare settori consistenti dell’elettorato italiano e diventare una vera alternativa a Renzi, qui la strada da percorrere è molto lunga. Ma al momento il centrodestra è ancora un personaggio in cerca d’autore.