Jerry Lewis compie oggi ottantacinque anni. Nasceva, infatti, il 16 marzo del 1926 a Newark, nel New Jersey, quel buffo spilungone dai tratti scimmieschi destinato a diventare il più importante attore comico americano del secondo dopoguerra, quindi un regista e autore cinematografico di notevole talento e inventiva, definito dal Godard critico dei Cahiers come “il solo, ad Hollywood, a non entrare nelle categorie, nelle norme, nei principi, il solo a fare film coraggiosi, […] e c’è riuscito grazie alla sua genialità”.
La prima parte della carriera di Jerry Lewis è indissolubilmente legata al nome di Dean Martin. Nati, rispettivamente, Joseph Levitch e Dino Crocetti, l’uno ebreo figlio di attori di varietà e l’altro semisconosciuto cantante di stile “confidenziale” di origini italiane, essi trovano insieme la strada del successo grazie soprattutto alla folle verve comica di Jerry.
I due si incontrano per la prima volta nel marzo del 1945 in una centralissima via di Manhattan, presentati da un comune amico. Le prime apparizioni insieme su di un palco avvengono al night club Havana-Madrid di New York, nel marzo 1946. Ma sono casuali, brevi show improvvisati alla fine dei rispettivi numeri, poiché i due vengono scritturati ancora separatamente.
La coppia va in scena ufficialmente per la prima volta al 500 Club di Atlantic City, la notte tra il 24 e il 25 luglio 1946. Il successo è subito notevole, tanto che l’insolito sodalizio diventa ben presto l’attrazione principale del panorama dello spettacolo americano negli anni della ripresa post-bellica. Un matrimonio artistico che durerà per dieci anni esatti, dal già citato esordio di Atlantic City fino allo show di addio al Copacabana di New York, la sera del 24 luglio 1956.
In mezzo, oltre agli show televisivi del Colgate Comedy Hour e agli spettacoli nei night club della costa est, ci sono soprattutto sedici film girati insieme – Il Nipote Picchiatello (N. Taurog, 1954) e Artisti e Modelle (F. Tashlin, 1955) da ricordare come i migliori – e una profonda sincera amicizia che durerà, tra luci della ribalta, malcelati orgogli e lontananze forzate, fino alla morte di Dean Martin, avvenuta nel Natale del 1995.
Jerry passa i primi anni del dopo Dean recitando in alcuni film non molto ispirati, per lo più frutto dei compromessi necessari a sistemare le code dei contratti rimasti ancora aperti alla Paramount, sottoscritti dalla coppia prima della separazione. Si tratta di sei film, tra cui spiccano Il Delinquente Delicato (D. McGuire, 1957) e Il Balio Asciutto (F. Tashlin, 1958), nei quali Lewis si segnala per un affinamento mimico e recitativo del proprio personaggio, che nondimeno appare spento e privato della carica esuberante e anarchica tipica dei migliori film della coppia.
In questa fase nulla farebbe presagire a un esordio di Jerry alla regia, che invece è rimarchevole e avviene nel 1960 con Ragazzo Tuttofare. Il film, girato in tre settimane e montato nel seminterrato dello stesso albergo dove è ambientato, si compone di sole gag comico-visive ed è apertamente dedicato a Stan Laurel. Infatti il fattorino d’albergo protagonista del film si chiama Stanley e non parla per tutto il film. Quando alla fine gliene viene chiesta la ragione, egli candido risponde: “Perché nessuno me lo ha chiesto”.
Rappresenta, questo, l’inizio del suo riscatto artistico dopo la fine della coppia. Lewis ha poi scritto e diretto in proprio altri dieci film, continuando anche a recitare in pellicole di altri registi, tra cui quelle dirette dall’amico Frank Tashlin rappresentano le sue migliori interpretazioni senza il vecchio compagno Dean: Dove Vai Sono Guai (1963) e Pazzi, Pupe e Pillole (1964).
Nella filmografia del Lewis autore e regista spiccano i temi del doppio, del travestimento, dello scambio di ruoli tra uomo e donna, della lotta con gli oggetti e del corpo del comico che diventa esso stesso un oggetto tra gli oggetti; tema, quest’ultimo, tipico del genere comico classico, quello del cinema muto e delle comiche slapstick.
Per Jerry Lewis il cinema è il regno dell’immaginario, apertamente privo di referenti reali o realistici: il cinema è il cinema. La sola regola che pare adottare è quella della centralità del personaggio, cui lo stile classico della sua regia si adatta perfettamente. Il suo cinema in fondo non è altro che una messa in scena del disordine, in cui l’ordine apparente dato dallo stile classico è solamente funzionale ai giochi di sdoppiamento suddetti.
Così troviamo le migliori opere del Lewis regista in L’Idolo delle Donne (1961), nel quale ammirevole è il gioco di smascheramento della finzione cinematografica; Le Folli Notti del Dottor Jerryll (1963), unanimemente considerato il suo capolavoro, dove il tema del doppio è sviluppato diffusamente e con voluta ambiguità; Tre Sul Divano (1966), in cui il gioco dei travestimenti si trasforma nel gioco della caricatura del vero. Il cinema di Jerry Lewis è, in ultima analisi, tutto un unico grande gioco.
Nel 2009 Jerry Lewis è stato insignito del premio Oscar alla carriera per motivazioni umanitarie, premio secondario per uno che negli anni migliori della carriera è stato l’indiscusso re di Hollywood. Vista la signorilità e la sincera commozione con cui accolse un riconoscimento in realtà poco lusinghiero (avrebbe dovuto ricevere l’Oscar alla carriera vero e proprio), non si può non ammirare le sue qualità umane.
Gli vogliamo bene e sempre gliene vorremo per l’onestà intellettuale con cui negli anni ha affrontato il suo lavoro, per la spudorata sincerità della sua ispirazione comica, perché è rimasto un po’ bambino e un po’ matto come molti di noi, ma non si è mai vergognato di mostrarlo e di costruirci sopra una parabola artistica importante come poche altre, perché ha avuto il primo infarto a meno di quarant’anni per eccesso di affaticamento (sul set de Il Cenerentolo, F. Tashlin 1959), solo per il dovere di onorare fino all’ultima goccia di sudore il dono divino del proprio immenso talento.