Il Corriere della Sera esalta in prima pagina l’inserzione a pagamento di un “cittadino sconosciuto” – il “signor Giuliano Melani”, certo meno noto di Diego Della Valle – che ha invitato i risparmiatori italiani a “buy Italy”, a comprare BoT e BTp tanto maltrattati da mercati, spread, rating, etc etc. L’appello all’orgoglio nazionalistico non è disdicevole in sé e poi fa parte della cultura giornalistica del quotidiano milanese: cosmopolita ma interventista nel 1915; capitalista ma autarchico nel Ventennio; patriottico come lo è sempre stata – a modo suo – la Mediobanca di Enrico Cuccia, tuttora azionista-leader di Rcs.
L’”Italiano ignoto” certifica d’altra parte una verità economico-finanziaria incontrovertibile, ancorché misconosciuta: l’Italia è un paese perfettamente solvibile anche solo guardando alla sua capacità di risparmio, cumulato in una solida ricchezza finanziaria privata (lo ha subito rimarcato il neo-governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, alla vigilia del G20). Quindi è vero, quasi lapalissiano: se gli italiani orientassero di più il loro risparmio finanziario privato (che per fortuna hanno ancora) prevalentemente sul loro debito pubblico (magari attraverso il sistema bancario nazionale), molti dei problemi che angustiano il Paese e i suoi cittadini in questi giorni sarebbero meno gravi, come minimo meno “percepiti”. Di sicuro, il risparmio nazionale non sarebbe utilizzato – spesso ignari i risparmiatori italiani – come munizione per il cannoneggiamento speculativo contro i nostri bond sovrani, con tutto quanto ne sta seguendo: l’insostenibilità tendenziale delle finanze pubbliche, l’intervento a sostegno della Bce, il “commissariamento di fatto” da parte di altri governi e di authority internazionali, l’acuirsi drammatico della crisi politica interna.
Peccato che tutto questo stia avvenendo – anche, anzitutto – per un preciso disegno politico-economico di lungo periodo, in fondo condiviso anche dall’Italia (dai suoi governi e dalla sua società): la globalizzazione, la finanziarizzazione, la mercatizzazione, la privatizzazione dell’economia. E del “Washington consensus” proprio il Corriere della Sera è stato propugnatore ostinato: sono più di trent’anni che Mario Monti scrive le sue “prediche laiche” sulla prima del quotidiano di Via Solferino, affiancato nell’ultimo decennio da Francesco Giavazzi, guru ultraliberista.
Per costoro l’idea che un italiano indirizzi “per orgoglio” – o anche solo “per responsabilità” o magari perfino per convenienza – il suo risparmio verso i titoli di Stato italiani è sempre stata e resta un’eresia blasfema, l’esatto contrario di come l’economia (la vita) “deve” funzionare. Il risparmio va sempre affidato ai “migliori gestori sul mercato” quelli che offrono le performance migliori (e nel sottinteso concreto: va affidato a gestori esteri, mai alle banche italiane, che hanno appunto il vizio inguaribile di essere sempre così poco estere, anche quando poi sono le estere a fallire per prime). E tanto peggio per lo Stato italiano se non riesce a stare al gioco del mercato, anzi: il mercato che fugge dai bond italiani (portandosi dietro anche il “risparmio degli italiani”) sta facendo un piacere ai contribuenti italiani. Li sta avvertendo, per farla breve, che devono cambiare governo (anzi: che devono affidarsi a governi tecnici, che suppliscano all’insostenibile “italianità” dei politici italiani). Ma tant’è: così il giornale che nel 2005 era il paladino scatenato dell’Opa dell’Abn Amro su AntonVeneta, oggi regala una vetrina paternalistica all’italiano “italianista” che vorrebbe “donare il suo oro alla patria”. E Indro Montanelli – cresciuto al Corriere quando il premier si chiamava Benito Mussolini – sarebbe forse d’accordo. (gc)