Faceva lo spaccone, Matteo Renzi, alla vigilia del referendum greco. Fidandosi dei sondaggi che davano il «sì» in rimonta, dalla posizione di mediatore era diventato un merkeliano di ferro. Frecciate, battute arroganti all’indirizzo dei governanti ellenici: un «azzardo», così Renzi aveva bollato la consultazione popolare. Invece il «no» ha stravinto e il povero premier, preso alla sprovvista, non ha trovato di meglio che convocare per questa mattina il ministro dell’Economia. Renzi e Padoan si vedranno alle 9,30 con i mercati valutari già aperti e in probabile fibrillazione, visto che ieri sera (ora italiana) l’euro ballava alla grande alla borsa di Sydney, già aperta per la prima seduta della settimana.
Per Renzi è l’ennesimo smacco. Il rottamatore fiorentino non ne azzecca più una. Era paradossale vedere ieri sera in televisione i leader politici italiani all’opposizione in patria (grillini, leghisti, Sel) esultare in Grecia assieme ai vincitori del referendum. A questo brutto colpo se n’è aggiunto subito un altro, cioè il vertice a due Merkel-Hollande di questa mattina. Francia e Germania hanno lasciato a Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, il compito di sondare gli euro-partner: un giro di orizzonte iniziato ieri sera che si concluderà oggi. Ma i leader di Parigi e Berlino hanno tenuto per sé il compito di serrare le file e dettare la linea. Renzi non pervenuto e la povera Federica Mogherini, capo degli Esteri dell’Unione, dileguata nel nulla.
La Merkel a Parigi, Mario Draghi a Francoforte a stretto contatto con le cancellerie europee, Renzi a Palazzo Chigi con Padoan. Ecco l’Italia davanti al terremoto greco. Il premier ha dovuto immediatamente correggere rotta rispetto agli ultimi giorni: abbandonati i proclami sprezzanti, Renzi ha detto che bisogna riannodare i fili del dialogo con la Grecia, come chiede la stessa Atene assieme a Parigi: non a caso Francia, Italia e Grecia sono Paesi a guida socialista. Quindi sì a nuovi negoziati, anche se il sentiero da percorrere è molto più stretto di una settimana fa. Evitare l’uscita della Grecia dall’euro e le imprevedibili conseguenze.
Allo stesso tempo, Renzi vuole evitare di essere ancora più isolato dalla stanza dei bottoni e rompere l’asse Parigi-Berlino. Un primo passo è la riunione dell’Eurogruppo convocato dal presidente del consiglio Ue Donald Tusk per domani, martedì, nel pomeriggio. L’entourage di Renzi cerca di venderlo come un successo italiano. Non è così, perché questo vertice si svolgerà il giorno dopo il faccia a faccia tra Merkel e Hollande.
Trattare, negoziare, riaprire tavoli di confronto: è questa la strada individuata da Renzi per togliere la Grecia dall’isolamento rispetto ai Paesi più forti dell’Unione europea, cioè Germania e nazioni del Nord. È la strada per togliere anche se stesso e il nostro Paese dalla marginalità in cui si trova.
Del resto, la fine della politica del rigore e l’avvio di investimenti europei negli stati più deboli andranno a beneficio anche dell’Italia.
Ma c’è un altro motivo che si aggiunge alla strategia renziana di allentare il rigore europeo. Renzi teme che la massiccia ondata anti-euro partita dall’Egeo diventi uno tsunami capace di abbattersi sulle coste italiane. I partiti anti-austerità e anti-euro sono quelli che stanno rapidamente guadagnando voti. Anche a sinistra, da Sel agli ex Pd Civati e Fassina, si sta saldando un fronte ostile all’Europa delle cancellerie che si contrappone all’Europa dei popoli. Gli schieramenti che si fronteggiano non sono più destra/sinistra o Nord/Sud, ma favorevoli e contrari a quest’Europa. Se questa marea monterà, alle prossime elezioni non ci sarà Italicum che tenga per le ambizioni di Renzi.