La storia della nascita dell’anatomia è esemplare e paradigmatica nella storia della scienza moderna, in quanto mostra le condizioni per l’affermarsi di una nuova disciplina e di una nuova metodologia e il ruolo che in tutto questo giocano gli uomini, la loro cultura, la loro visione del mondo e della vita. Di questo offre una documentazione significativa Francesco Agnoli, in un capitolo del libro “Case di Dio, ospedali degli uomini – Perché, come e dove sono nati gli ospedali”, in uscita in questi giorni per l’editrice Fede e Cultura, con una prefazione di Giancarlo Cesana.
Il testo è ancor più interessante nel contesto di un saggio dedicato agli ospedali, a dimostrazione eloquente di come accanto alla Caritas incidesse, nella cultura italiana del Medioevo, la concezione di Dio come Logos. Più in generale, è la conferma di come la visione teologica e religiosa di un popolo è una condizione che facilita oppure ostacola certe nuove imprese dell’uomo. Così, «la storia dell’anatomia insegna che l’autorità dei greci, se da un lato offrì uno spunto importante di partenza, dall’altro fu il freno più forte ad ulteriori sviluppi (Galeno in parte frenò l’anatomia, così come il sistema aristotelico tolemaico greco, oltre a fornire interessanti osservazioni, bloccò a lungo la nascita dell’astronomia moderna, causa i suoi pianeti animati, la divisione tra elementi e quinta essenza, il dogma delle orbite circolari ecc.)».
Agnoli ricorda che i primi esperimenti di anatomia sono nati in Grecia, laddove si è colto, filosoficamente, l’ordine, l’armonia e la razionalità del cosmo; e la bellezza del corpo umano spinge alcuni grandi personalità, tra cui quella di Galeno, a sezionare scimmie e maiali per motivi scientifici. «In principio ci sono lo stupore e l’atto di fede dell’uomo greco: la realtà si presenta a noi comprensibile, logica, non caotica e oscura». Ma nonostante i contributi del pensiero greco, l’anatomia moderna nascerà molto più avanti, nell’Europa cristiana, o, ancora meglio, nel cuore della cristianità: l’Italia. «È lì che sorgono le prime università ed è sempre lì che la dissezione dei cadaveri avviene già nel XIII secolo, prima per “l’esame autoptico del corpo di chi era morto in circostanze dubbie” e poi a scopo didattico, per conoscere meglio gli organi e l’architettura del corpo umano».
La “prima sede di questa innovazione è Bologna”, città pontificia in cui sorge una delle tante università collegate piuttosto strettamente alla Chiesa. Il trattato più importante di anatomia medievale è l’Anathomia Mundini di Mondino dei Liuzzi. In essa l’autore si rifà alla scuola di Galeno, sottolinea la superiorità dell’uomo rispetto agli altri animali, e dimostra una conoscenza diretta della dissezione. Al testo di Mondino ne seguono altri, fino ad arrivare all’opera fondamentale di Andrea Vesalius, De humani corporis fabbrica, pubblicata nel 1543, lo stesso anno – singolare coincidenza – del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico. Vesalius è un fiammingo che però studia e lavora in Italia, all’Università di Padova.
Nella sua opera constata che Galeno ha compiuto più di duecento errori, che dichiara di aver potuto rilevare grazie all’ampia possibilità goduta di sezionare cadaveri; possibilità che egli ha trovato in Italia, non nel resto d’Europa. Possibilità, nota Agnoli, che non era così scontata. «Infatti, Vesalius, come altri anatomisti, si trova da una parte di fronte alla “ostilità sorda della popolazione”, che non gradisce, anche comprensibilmente, che sui cadaveri vengano compiuti esperimenti dissacranti, dall’altra all’opposizione molto dura di parecchi colleghi scienziati, “quei medici che non vedevano alcuna connessione tra l’indagine anatomica e la capacità di curare i malati”, e, soprattutto, dei “galenisti osservanti”».
Succede cioè, all’origine dell’anatomia moderna, qualcosa di molto simile a quello che avverrà pochi anni dopo all’origine dell’astronomia, «quando la vera scoperta di Galilei – che non sarà la dimostrazione della teoria copernicana, molto posteriore, ma la prova della unità tra fisica celeste e fisica terrestre con la scoperta degli avvallamenti lunari e delle macchie solari – troverà, come è inevitabile, degli avversari, e tra questi soprattutto i colleghi universitari di Galilei, gli scienziati dell’epoca, che non potranno accettare di archiviare Aristotele e Tolomeo, i due grandi autori pagani il cui sistema cosmologico aveva dominato sino ad allora».
La legittima domanda su come mai in Italia e in Europa si dissezionassero i cadaveri e in tutto il mondo no, trova una risposta nella storia delle religioni. «Per molte religioni, infatti, la sepoltura del cadavere, ancora oggi, deve avvenire necessariamente e secondo un preciso rituale: altrimenti il morto non riesce a raggiungere l’aldilà, vaga nell’aldiqua, reclamando la sepoltura e persino perseguitando i vivi (sono i famosi zombie, o “morti viventi”). Queste convinzioni, scomparse o quantomeno molto affievolite in Europa con l’avvento del cristianesimo, sono ancora vive, sotto svariate forme, in gran parte dell’Asia e dell’Africa odierne. Ebbene credenze analoghe a questa, molto diffuse nell’Europa pagana, non caratterizzano invece, se non per un qualche inevitabile e marginale permanere delle antiche superstizioni, l’Europa cristiana in cui l’anatomia nasce».
Quale fu quindi, si chiede Agnoli, la posizione della Chiesa? «Basterebbe ragionare, per comprendere che non poteva essere contraria: se lo fosse stata, con l’autorità morale che esercitava nel medioevo, in particolare sulle università, non avrebbe mai permesso la nascita dell’anatomia. Né essa sarebbe sorta proprio in Italia, cuore del papato e della Cristianità, e non, ad esempio, in Germania o in Inghilterra, dove “l’insegnamento dell’anatomia sui cadaveri umani rimase eccezionale almeno fino alla metà del Cinquecento”».
L’autore ricorda poi che ben prima del capolavoro di Vesalius, papa Sisto IV nella De cadaverum sectione (1472) dichiarava l’anatomia come “utile alla pratica medica e artistica”, mentre nel Settecento Benedetto XIV avrebbe fornito un grande contributo alla ceroplastica, invitando l’artista Ercole Lelli, in alleanza con l’Università di Bologna, a produrre cere anatomiche a scopo didattico per supplire alla carenza di cadaveri necessari per lo studio.
La lettura di molti dei primi trattati di anatomia, inoltre, ci dice che gli stessi anatomisti erano rispettosi credenti che mettevano in luce “il valore filosofico e quasi teologico dell’anatomia” e ammiravano nel corpo “il tempio di Dio”. Basterà citare il beato Niccolò Stenone – ottimo anatomista, che sarebbe divenuto il padre della geologia -, che prima di iniziare la dissezione del cadavere di una donna giustiziata, scriveva sul suo diario: “Questo è il vero scopo dell’anatomia, che attraverso l’ingegnosa struttura del corpo l’osservatore sia tratto ad afferrare la dignità dell’anima e di conseguenza attraverso i miracoli del corpo e dell’anima impari a conoscere e amare il Creatore”.
Nella conclusione del saggio Agnoli sottolinea che «la storia dell’anatomia ci ricorda che la scienza non è di per sé neutra, autonoma, cioè svincolata dalla morale, in quanto se è vero che l’anatomia è in sé buona, rimane illecito trafugare cadaveri o vivisezionare persone in nome del progresso scientifico. Un messaggio attuale per i dissezionatori di embrioni umani, per tutti i nuovi scienziati-stregoni alla Mengele, che lavorano alla clonazione e alla manipolazione dell’uomo».