Dieci anni fa, l’allora governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, fu raggiunto da un avviso di garanzia per abuso d’ufficio: le Procure di Milano e Roma lo indagarono per esercizio improprio dei poteri di vigilanza bancaria nei casi AntonVeneta e Bnl. Poche settimane dopo fu costretto a dimettersi (fu poi processato e condannato), anche su pressione di una campagna di stampa nella quale si distinse Luigi Zingales.
Nei giorni scorsi si è appreso che il governatore in carica, Ignazio Visco, è indagato dalla Procura di Spoleto per presunto concorso in truffa nella vendita della Popolare locale, commissariata dalla vigilanza. Anche su questo caso Zingales non ha fatto mancare una severa presa di posizione sull’operato della vigilanza italiana. E ha ventilato che tre “saggi” di nomina parlamentare possano svolgere un’inchiesta su numerosi casi di dissesto registrati nel sistema bancario italiano negli ultimi anni.
L’economista di Chicago non è giunto a chiedere la testa del governatore – come dopo le Opa del 2005 -, ma nei fatti pone una questione di fiducia interna, a meno di un anno dall’inizio del passaggio alla Bce della supervisione bancaria. Neppure troppo implicitamente – e con una certa dose di onestà intellettuale – pone un interrogativo più spinoso: perché dieci anni dopo la “crociata” apparentemente vinta con la chiamata di Mario Draghi da Goldman Sachs in Bankitalia e una cosiddetta “riforma del risparmio” con le banche italiane e con i lorio vigilanti siamo punto e a capo? Anzi, forse peggio: anche al netto dell’impatto durissimo della crisi finanziaria globale.
Dieci anni dopo, in ogni caso, Zingales è quasi solo a interrogarsi criticamente – in modo pubblico -sulla “questione bancaria”, sul ruolo di Bankitalia nella vigilanza e nella politica creditizia. Visco ha infatti già incassato l’appoggio del Capo dello Stato: che è fra l’altro il garante ultimo dell’ordine giudiziario (anche se proprio in questi giorni la magistratura sta mostrando massima insofferenza per le critiche). A fine 2005, invece, Carlo Azeglio Ciampi – ex Governatore nel frattempo asceso al Quirinale – non poté (e in parte non volle) difendere Fazio: su cui lui stesso aveva costruito la sua successione in Bankitalia nel 1993. Una vicenda che sottolinea altre singolari analogie di fatto fra i due “avvisi” eccellenti.
Fazio – come poi fu Visco – non era designato per l’incarico di governatore. Era il membro più giovane del vertice di Palazzo Koch quando Ciampi fu chiamato a presiedere un governo tecnico, nel pieno di Tangentopoli. Fazio era addirittura il “numero 4” della gerarchia: la candidatura interna istituzionale era quella del direttore generale Lamberto Dini, il quale era tuttavia estraneo alla “scuola” Bankitalia e quindi sgradito alle stesso Ciampi. Quest’ultimo dovette tuttavia sacrificare Tommaso Padoa-Schioppa: il vicedirettore generale più anziano, con un’esperienza davvero completa (politica monetaria e fiscale, vigilanza bancaria, governance Ue). Ancora Ciampi, dieci anni dopo, patrocinò personalmente la candidatura di Draghi: senza esperienza interna in via Nazionale (meno che mai nella vigilanza) e ricco invece di know-how come direttore-privatizzatore al Tesoro e poi come banchiere d’affari internazionale.
Non è un caso che a posteriori, i cinque anni trascorsi da Draghi al vertice Bankitalia – annunciati all’insegna della modernizzazione-moralizzazione “di mercato” – non abbiano lasciato traccia: né dentro, né fuori l’istituto. Tanto che nel 2011 – quando Draghi viene promosso alla Bce – nulla cambia nel metodo e nel merito della designazione del nuovo governatore. Il direttore generale Fabrizio Saccomanni (con un identikit disegnato su quello di Padoa-Schioppa) vede la sua candidatura elidersi con quella di Vittorio Grilli, tecnico di valore e successore di Draghi al Tesoro, sgradito, tuttavia, alla cosiddetta “indipendenza” della banca centrale.
Ancora una volta vien fatto salire a tutta forza il “numero 4”, Visco, un macro-economista di buon curicculum (capo-analista all’Ocse), ma non un primo della classe. Per di più completamente digiuno di vigilanza bancaria: così come il direttore generale Salvatore Rossi. Tanto che il vero portavoce della banca, in queste settimane difficili e in tutte le sedi (dal consiglio di supervisione Bce ai “media”), è il vicedirettore generale Fabio Panetta, più avvezzo alle problematiche bancarie, tecniche ma di per sé sempre parecchio politiche.
Certo, non è un bello spettacolo un governatore che continua a tacere mentre il presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, fa melina sulle sue dimissioni. E mentre l’amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, dopo due settimane di terribili rivelazioni giudiziarie sui metodi di gestione dei finanziamenti nel gruppo, mostra di affannarsi: ma – par di capire – solo per sacrificare come capi espiatori due manager scelti da lui e alle sue dirette dipendenze.
Mercoledì a Roma, alla Giornata del risparmio, si alterneranno sul palco il capo delle Fondazioni, Giuseppe Guzzetti, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il governatore Visco, e il capo dei banchieri, Antonio Patuelli, riconfermato da pochi giorni. Sarà interessante ascoltare gli “avvisi”. Sperando che ce ne siano.