Dopo aver visto “partire” Telecom Italia con il controllo ceduto a poco prezzo a Telefonica da parte delle banche italiane, in questi giorni sembra ormai in via di definizione anche l’annosa vicenda di Alitalia, che dovrebbe finire una volta per tutte nell’orbita di Air France. Alitalia ha chiuso il primo semestre del 2013 con una perdita di 294 milioni di euro dopo anni di risultati ben poco soddisfacenti; ancora più grave, però, per il futuro della società è un posizionamento competitivo che non le permette di ritornare a risultati positivi al di fuori di un’aggregazione e il fatte che, a differenza di Telecom, l’assetto attuale molto difficilmente si potrà tradurre in un ritorno all’utile. La sofferenza economica e finanziaria di Alitalia dura da molti anni ed è frutto di tanti errori a opera di diversi protagonisti Ripercorrere le tappe che hanno portato a questa situazione è un esercizio lungo e complicato; quello che conta oggi è che la società è a rischio fallimento e ha urgente bisogno di una ricapitalizzazione.
I soci attuali non sono, comprensibilmente, particolarmente intenzionati a sottoscrivere l’aumento, investendo altri soldi, di una società che riporta perdite consistenti e che ragionevolmente non tornerà a essere profittevole. L’ipotesi più probabile per garantire la continuità di Alitalia è che venga fusa al più presto con Air France che già detiene il 25% della società e che insieme a Klm è alleata commerciale dell’ex compagnia di bandiera italiana. I soci italiani sarebbero felici di smettere di contribuire alle perdite di Alitalia. Il problema che si pone al “sistema Paese” è se questa fusione sia più o meno funzionale agli interessi economici dell’Italia. La domanda non è di poco conto, perché l’Italia è un mercato di 60 milioni di persone e soprattutto perché ha, o dovrebbe avere, nel turismo una risorsa importante per la crescita economica. La preoccupazione, decisamente legittima, è che Air France si porti via Alitalia e il suo mercato per pochi euro.
Sulla pochezza degli euro il dibattito è molto aperto. Il punto cruciale in questi casi è l’orizzonte temporale con cui si guarda un oggetto o un’impresa. Un orizzonte temporale può essere quello di chi guarda ai prossimi due trimestri o al prossimo anno. Un altro può essere quello di guarda le prospettive di lungo termine. Nel secondo caso chi compra Alitalia compra “un mercato” di 60 milioni di persone in un Paese ricchissimo, probabilmente il più ricco che c’è, dal punto di vista delle potenzialità turistiche. Chi avesse le risorse finanziarie e le capacità potrebbe con ogni probabilità guadagnare da questa posizione.
Il secondo dibattito che si apre è relativo al fatto che la Francia, in termini turistici, è un concorrente agguerrito dell’Italia e che il “sistema Paese”, francese, potrebbe privilegiare un mercato e non un altro aggiungendo valutazioni che non rientrano tra quelle meramente economiche o di opportunità finanziaria. Il terzo aspetto è che l’attuale hub di Alitalia, l’aereoporto di Fiumicino, verrebbe relegato in seconda o terza posizione rispetto a quello di Parigi. Questo avrebbe pesanti conseguenze economiche lo scalo di Roma per il suo indotto e per chi ci lavora perchè perderebbe la parte più ricca del business. I passaggeri dei voli internazionali da e per Roma a quel punto, fatte salve forse le destinazioni più popolari, dovrebbero passare da Parigi, che alimenterebbe i voli internazionali per ovvi motivi di efficienza della nuova società; a tutto vantaggio dell’areoporto Charles De Gaulle e del suo indotto.
In conclusione, perdere Alitalia non sembra un grande affare per il sistema Paese italiano, soprattutto, come già detto, per l’importanza del settore turistico. Tra le varie lamentele per il possibile esito delle trattative di questi giorni si è levata anche quella della società che possiede l’aereoporto di Roma, Gemina. Con un comunicato stampa del 25 settembre la società ha espresso “la forte preoccupazione per la situazione economica, finanziaria e societaria di Alitalia, che potrebbe determinare difficoltà nel mantenimento della connettività intercontinentale e internazionale della compagnia di bandiera sul mercato italiano, con pregiudizio del ruolo di Hub carrier”.
Gemina a breve sarà fusa in Atlantia, posseduta al 46% da Edizione dei Benetton. Atlantia è titolare della concessione, scadenza 2038, su Autostrade per l’Italia, che sarebbe, sostanzialmente, un monopolio (a meno che qualcuno pensi che per andare da Milano a Roma possa convenire prendere l’autostrada che passa per Genova). Atlantia è anche il secondo azionista italiano, dopo il gruppo Riva, di Alitalia, a testimonianza dei legami, evidenti, con l’areoporto di Roma. Atlantia nel 2011 e nel 2012 ha registrato più di 800 milioni di euro di utili all’anno pagando dividendi per circa la metà dell’utile. Sembrerebbe un alleato naturale del sistema Paese nel tentativo di pilotare Alitalia verso un’alleanza meno penalizzante nei confronti dell’Italia.
Il tentativo non è semplice; occorrono soldi, competenze imprenditoriali e tempo. L’idea, però, che Alitalia come mercato potenziale sia interessante non è affatto peregrina. Si è fatto il nome delle Ferrovie dello Stato, che possiedono la rete ferroviaria e non invece quello di Atlantia che possiede la rete stradale, l’areoporto di Roma e ha una concessione molto redditizia su un asset con alcune caratteristiche del monopolio.
Non si tratta di ipotizzare uno scenario di medio lungo termine, quanto di “arruolare” un soggetto che potrebbe essere interessato e avere mezzi e risorse imprenditoriali per pilotare Alitalia verso un futuro migliore per il Paese (e per l’areoporto di Roma).
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