Ormai è chiaro: se va avanti così, Matteo Renzi la riforma del Senato non la porta a casa. Le opposizioni rafforzate dai dissidenti del Pd hanno la maggioranza a Palazzo Madama. E il contesto non aiuta affatto il presidente del Consiglio: i dati economici sono un disastro, la crescita non si vede a meno di enfatizzare l’ennesimo «zero virgola», i sondaggi confermano la crescente sfiducia verso il rottamatore. Non a caso il premier cita a Ferragosto soltanto i numeri relativi al piano di assunzioni dei precari della scuola.
Aveva promesso 100mila collocazioni in ruolo. Ne ha già effettuate 29mila: si tratta del normale turnover annuale dovuto a trasferimenti e pensionamenti, ma con un colpo di bacchetta magica rientrano in questo programma straordinario. Restano 71mila posti da assegnare per far quadrare i conti: ed ecco che magicamente compaiono esattamente 71mila iscritti al piano di assunzioni. Ergo, il premier è un drago che risolverà ogni problema dell’Italia presente e futura.
Naturalmente non è così. Renzi deve trovare una via d’uscita al vicolo cieco in cui s’è ficcato. Le chiacchiere di Ferragosto ne propongono tre. Roberto Giachetti, renziano duro e puro, punta a colpire la minoranza interna attraverso la riedizione del patto del Nazareno e quindi lancia messaggi a Berlusconi: Forza Italia otterrebbe l’agognata modifica all’Italicum (premio di maggioranza alla coalizione anziché alla lista) in cambio dell’estensione al Senato dello stesso Italicum. In questo modo, definendo cioè un sistema elettorale per Palazzo Madama, potrebbe prendere corpo la minaccia di voto anticipato se la sinistra interna al Pd decidesse di fare saltare il banco.
La seconda possibilità è adombrata da Roberto Calderoli, alchimista padano delle riforme istituzionali, il quale non vede «muri invalicabili, se non quelli eretti dalla testardaggine di alcuni: se si usa buon senso, si può portare a casa questa riforma con il 75 per cento dei consensi parlamentari», una percentuale che eviterebbe il referendum popolare confermativo. La testardaggine in realtà non apparterrebbe ad «alcuni» ma a una in particolare: la ministra Boschi. E sarebbe lo stesso Renzi ad accreditare tale ipotesi favorevole all’elezione diretta dei senatori: «Mi ha detto che se ci fosse ampio consenso su questo punto per lui andrebbe bene, a patto che non passi come concessione alla sinistra Pd. Certo, poi bisogna superare anche la rigidità della Boschi. Anche questo me l’ha detto Renzi: il ministro sarebbe più rigido rispetto a lui».
Dunque, da un lato ci sarebbe un renziano duro e puro come Giachetti che punta il dito verso la minoranza interna al Pd; dall’altro ci sarebbe nientemeno che lo stesso Renzi il quale punterebbe il dito (qui i condizionali si sprecano, visto che è il suo presunto pensiero riferito da Calderoli) contro uno dei suoi bracci destri, Maria Elena Boschi, che i retroscena di palazzo con crescente insistenza descrivono non più in totale sintonia con il premier.
Il terzo scenario ha come protagonista Berlusconi, che chiederebbe modifiche all’Italicum mentre — in realtà — punterebbe a una radicale riforma della giustizia. Ma in questi giorni il Cavaliere non ha parlato né di legge elettorale né di intercettazioni o separazione delle carriere e men che meno di Rai, ma di economia, crescita, ripresa produttiva. Un anno fa Berlusconi temeva che Renzi stesse per fagocitare il centrodestra con il suo attivismo riformista e l’enfasi sul Nazareno. Oggi invece il premier appare inconcludente su temi come fisco, giustizia, lavoro, istituzioni: ha abbandonato il Nazareno, è in balìa della minoranza interna, non ha chiuso riforme davvero incisive, non riduce il debito né fa ripartire l’economia. Meglio aspettare che sia lui a fare la prima mossa. Per Calderoli è una tattica inefficace: «Ho sempre una certa difficoltà a capire cosa vogliano realmente» quelli di Forza Italia. Intanto Berlusconi tiene stretto il suo pacchetto di voti in attesa di capire come si muoverà il capo del governo.