Mirabello è un paesotto in provincia di Ferrara, appiattito nella pianura, conosciuto per un solo motivo: pur trovandosi nel cuore dell’Emilia rossa, 29 anni fa vi si celebrò la prima festa nazionale del Movimento sociale italiano e da allora si ripete ogni anno. In quell’angolo di Padania, dove adesso è la Lega a mettere salde radici, resisteva un gruppo di nostalgici che voleva fare sentire anche la voce della destra nel periodo di fine estate, quando il Pci organizzava ritrovi mastodontici. C’era ancora Giorgio Almirante. Anzi, fu proprio alla Festa Tricolore che nel 1987 il vecchio leader incoronò Gianfranco Fini come erede alla guida della Fiamma. E sempre a Mirabello (paese natale della mamma), Fini nel 1994 annunciò quella che sarebbe diventata la svolta di Fiuggi. Il paesello dunque è stato teatro delle feste del Msi, di Alleanza nazionale, del neonato Pdl (l’anno scorso, quando l’appuntamento fu faticosamente ribattezzato Festa Tricolore della Libertà) e ora di Futuro e libertà.
Un bel record. Per la destra italiana Mirabello è una specie di santuario delle svolte. Lo sarà anche in questo 2010, quando il presidente della Camera terrà il discorso conclusivo. Ancora nulla è trapelato di quanto Fini dirà. Il silenzio del gelido leader perdura ormai da mesi, appesantito da un’estate difficile sotto i colpi dell’assedio posto dai giornali «amici» vicini al centrodestra. Probabilmente Fini non ha ancora deciso che cosa dirà. Dipende in gran parte da due fattori.
Il primo è la mediazione ovattata e tenace svolta dalla Lega Nord. Si dice che Fini abbia preso le distanze da Berlusconi per riconquistare il peso sottrattogli dal Carroccio dalla bilancia del centrodestra. Eppure sono proprio i lumbard a tessere la tela del riavvicinamento tra i due. Ancora ieri il ministro Calderoli dalle colonne di Repubblica invitava Feltri e Belpietro a rientrare nei ranghi per facilitare la conciliazione.
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È uno spettacolo curioso vedere i leghisti che fanno i pompieri, ruolo che ricoprono sempre più spesso, salvo poi salire a loro volta sulle barricate la prossima settimana quando scenderanno lungo il Po per la «cerimonia dell’ampolla».
L’altra incognita è legata alla forma che prenderà la bozza di riforma della giustizia, il più scottante dei cinque punti su cui il presidente del Consiglio chiederà una nuova fiducia a settembre. In particolare si discute sul processo breve, cioè il sistema per accorciare la durata dei procedimenti compresi quelli riguardanti il premier. Ieri a Palazzo Grazioli si è svolto un lunghissimo vertice al quale si sono succeduti numerosi collaboratori di Berlusconi: ovviamente il guardasigilli Alfano, e poi i ministri Tremonti (per esaminare gli aspetti economici della riforma) e Frattini (che dovrà spiegare il provvedimento alle diplomazie europee), i sottosegretari Letta e Bonaiuti, il deputato-avvocato Ghedini.
Quando saranno meglio definiti i contorni della riforma, si potranno ipotizzare le mosse di Fini. L’obiettivo sembra quello di cristallizzare la situazione, cioè tre gruppi parlamentari (Pdl, Lega e Fli) a sostegno del governo senza creazione di un nuovo partito, un’opzione che resta estrema. «Non dipende solo da noi – ha detto ieri Granata a Mirabello – ma siamo pronti a farlo qualora ci si precludesse la strada dell’impegno politico». Fini vuole che sia riconosciuta la sua presenza politica. Nonostante tutto, ha sempre bisogno di Berlusconi.