Film da rivedere 2. – Molto duro, esistenzialmente ma anche dal punto di vista effettivo e visivo, per un certo tasso di violenza, è The Wrestler: la storia di un lottatore appunto di wrestling ormai in disarmo; dopo una folgorante carriera di gloria e onori, la parabola discendente del decadimento fisico (che impressione vedere l’ex sex symbol Mickey Rourke, la cui vita è stata simile a quella del protagonista, ridotto in pessimo stato), gli abbandoni e le amarezze lo rendono un ferrovecchio, abbandonato a una vita squallida. E i tentativi di ripresa (la figlia con cui cercare di riprendere un rapporto, una donna che lo ama) sono votati al fallimento.
Un film che mostra la disperazione di un uomo, e anche il suo orgoglio che pare insensato, ma anche il suo profondo e fragile desiderio di bene. Troppo fragile, ma sincero. Con momenti in cui commuoversi è quasi impossibile.
Più leggero, ma in un contesto a tratti violento e disumano, è The Millionaire dell’inglese Danny Boyle: il sorprendente trionfatore agli Oscar, è un viaggio tumultuoso nei bassifondi indiani, dove il giovane protagonista (di cui vediamo per flash l’infanzia e l’adolescenza) ha imparato quel che gli serve per stare al mondo. E per sfidare la sorte in quiz milionario.
Una favola, dove l’amore è la molla per sfidare ogni pericolo, ma con momenti anche tragici.
Molto più lieve e sorridente è Pranzo di Ferragosto: che sulla carta meriterebbe la categoria delle “sorprese” (la terza puntata della nostra carrellata), essendo un piccolo film; l’opera prima a bassissimo budget di un esordiente sessantenne (Gianni Di Gregorio) che racconta con umorismo un episodio di vita vissuta, e trasfigurata in cinema, con una serie di simpatiche vecchiette. Ma è il film italiano più sorprendente dell’anno, e merita di essere visto.
Un uomo di mezza età deve passare il Ferragosto a Roma con l’anziana madre. Ma un debito con l’amministratore può essere saldato solo se si tiene anche la madre di costui. E le vecchiette, a quel pranzo, non saranno solo due… Divertente (certe battute e situazioni sono surreali e irresistibili: e le vecchiette, dilettanti/debuttanti, sono la fine del mondo), con momenti di malinconia, e uno sguardo sulla Terza età originale, beffardo, affettuoso e non “buonista”.
E alla fine arrivano i pesi massimi: due autori diversi, accomunati solo dall’età (uno vicino agli 80 anni, l’altro che li ha superati da qualche tempo), che hanno regalato le cose migliori degli ultimi dodici mesi. Clint Eastwood ha messo in campo addirittura una doppietta: se Changeling, con una sorprendente Angelina Jolie, è una dura e commovente descrizione di una speranza che non muore neppure di fronte a delitti efferati e dolori inesprimibili (a una madre viene rapito il figlio, e la polizia la prende per matta; accade nell’America anni 30, ma paure, dolore e sentimenti sembrano attualissimi), il successivo Gran Torino è opera ancora più stupefacente.
Perché – quasi fosse un film-testamento (anche se il vecchio Clint continua a fare film: ma è il suo ultimo da attore) – Gran Torino sintetizza tutta una carriera, da attore e da regista, e tanti temi già affrontati (come l’uomo che si vuol fare giustizia da solo e che non capisce la modernità e i suoi simili, ma anche che ha un innato senso di giustizia) in una cornice nuova. Dove un vecchio incarognito con la vita (e con i suoi figli) dopo la morte dell’amata moglie, si affeziona suo malgrado a due giovani asiatici. Per loro sarà disposto a tutto (ma non riveliamo cosa, a chi non lo ha ancora visto).
Non prima di aver affrontato a viso aperto, con un giovane prete cattolico che non gli dà tregua, la sfida di accettare il perdono di un Altro che non lo ha mai abbandonato.
L’altro grande autore, a differenza di Eastwood – che è ormai un beniamino anche dei giovani cinefili – è stato scoperto o riscoperto da tanti dopo anni di oblìo. È il grande Andrzej Wajda (celebre per i lontani Le nozze, L’uomo di marmo, L’uomo di ferro, Danton) che ci ha regalato Katyn: il grande film sul massacro di oltre ventimila solfati polacchi da parte dei sovietici; la denuncia di un crimine negato per decenni (e attribuito ai nazisti) ma soprattutto l’elegia di un grande popolo, attaccato alla verità, alla sua terra e alla sua fede.
Un film di cui abbiamo parlato tanto in questi mesi. Chi non lo ha visto si affretti a recuperarlo.
Sia Gran Torino che Katyn (due film che, a parte i più piccoli, chiunque ha più di 14 anni può apprezzare), si possono vedere ancora in qualche cinema.
E saranno proiettati al prossimo Meeting di Rimini. Un’occasione in più.
2 – continua