Se facessimo un sondaggio per chiedere se gli hedge funds sono “buoni” o “cattivi” avremmo un plebiscito degno di Pol Pot e Ceausescu, se poi azzardassimo una domanda per chiedere che cosa sono e che ruolo hanno ci troveremmo probabilmente davanti a facce inespressive e menti a terra.
Ultimamente hanno addirittura sopravanzato i mutui subprime e le cartolarizzazioni di dubbia solidità nella classifica dei principali responsabili dei disordini finanziari cui ci tocca assistere ogni giorno. La vulgata li vuole speculatori senza alcuna remora morale e grandi artefici delle sventure dei piccoli risparmiatori oltre che dei tracolli azionari di alcune delle principali istituzioni finanziare globali.
La micidiale leva in mano a questi veicoli di investimento sarebbe la possibilità di scommettere, e guadagnare, sui ribassi dei titoli (l’ormai mitico “short”) invece che limitarsi a una strategia “classica” basata sull’apprezzamento del valore delle azioni su cui si investe (“long only” o “naked long”). Il risultato finale sarebbe, nella migliore delle ipotesi, quello di falsare il reale valore dell’azione aumentando il panico e penalizzando gli altri investitori; nella peggiore si tratterebbe in sostanza della possibilità di mettere sotto pressione il management con continui ribassi del titolo che segnalerebbero al resto del mercato una situazione di difficoltà dell’azienda in realtà inesistente (con tutte le conseguenze del caso).
Cercare di fare luce su questa realtà richiede però un po’ più di pazienza e la capacità di saper distinguere all’interno di un mondo estremamente vario. Ci sono hedge funds (molti più di quello che si dice) che investono quasi esclusivamente con l’approccio più classico possibile, quelli concentrati in particolari strumenti finanziari (per esempio solo materie prime) e infine (la grandissima maggioranza) quelli che usano il terribile short di cui sopra per diminuire il rischio e garantire rendimenti decenti anche in momenti di volatilità e difficoltà estrema.
Quest’ultimo caso può essere spiegato in questo modo: siccome in certe fasi (indovinate quali) uno può comprare la società più bella del mondo e ritrovarsi con una perdita da far tremare le vene ai polsi, al posto che, per esempio, scommettere semplicemente sul rialzo di Fiat si scommette sul fatto che Fiat (si va long) faccia meglio di Pegeuot (si va short). Ciò tutela l’investitore (e per inciso il cliente) anche nel caso entrambi i titoli registrino perdite. Si può poi anche pensare che un titolo sia effettivamente sopravvalutato e quindi destinato “naturalmente” a calare.
Immaginate anche il più onesto e capace degli investitori alle prese con mercati impazziti e al di fuori di qualsiasi paragone con il passato costretto a comprare comunque titoli. Avrebbe due possibilità: o farsi linciare, a ragione, dai clienti o vendere tutto (con le ovvie conseguenze sulle quotazioni) e mettere i soldi sul conto corrente. Per evitare di passare per ingenui e dipingere come campioni di onestà e correttezza anche chi ovviamente non lo è stato è chiaro che si può usare lo strumento di cui sopra, al di fuori di ogni regola o controllo (magari alle Cayman), per speculare contro chiunque, anche senza ragioni valide, producendo effetti che altrimenti non si sarebbero verificati. Ciò può portare anche a conseguenze drammatiche come le dimissioni del management o addirittura serie difficoltà per l’impresa.
Premesso che la speculazione può agire anche al contrario pompando il valore dei titoli a livelli irragionevolmente elevati per lasciare il “cerino in mano” ai più sprovveduti o ritardatari, per speculare, in generale, e in particolare al ribasso (un mestiere comunque estremamente rischioso), non serve la finanza malata degli ultimi anni. Le conseguenze prodotte dalla speculazione contro la lira negli anni ‘90 hanno avuto conseguenze devastanti e nessuno aveva ancora smantellato le regole che presidiavano il buon funzionamento della finanza Usa. Allo stesso modo sarebbe folle mettere sullo stesso piano una banca che ha concesso un mutuo “buono” con una che ne ha fatto uno “cattivo” semplicemente per il fatto che si tratta comunque di un mutuo.
Le regole in finanza servono eccome, ma purtroppo è un campo (come moltissimi altri) in cui sono in un modo nell’altro eludibili e in cui si possono formalmente osservare causando comunque conseguenze nefaste. Si vuole davvero correre il rischio di non punire nessuno perché non si vuole fare lo sforzo di distinguere cosa è stato fatto correttamente e responsabilmente e cosa no? Il rischio più grande è sicuramente quello di mettere tutto acriticamente, da Goldman Sachs alla cassa di risparmio con un singolo sportello, nel calderone della finanza malata intimamente convinti che, tanto, alla fine, è tutto uguale e non può cambiare niente.