Strano Paese davvero. È di un anno e mezzo fa il turbolento e contestatissimo “salvataggio” dell’Alitalia e di Air One attraverso la (s)vendita di entrambe alla cordata di Colaninno e già riesplode la polemica su uno dei “cardini” industriali di quell’operazione, ovvero il ripristino di un monopolio di fatto sulla linea più ricca del mercato nazionale, quella Milano-Roma.
E il colmo è che a rinfocolare la polemica non è stato un partito, o un politico, dell’opposizione ma un organo del governo stesso, ovvero il direttore generale della Direzione aeroporti e trasporto aereo del Ministero dei trasporti, Aldo Sansone. Il quale nella sua “relazione semestrale sul trasporto aereo” trasmessa al Parlamento una decina di giorni fa ha puntato l’indice sul fatto che il ripristinato monopolio nuoce ai consumatori e che la tratta va riaperta a nuovi concorrenti.
Ma che senso ha un attacco del genere a poco più di un anno da una decisione politica e governativa di segno simmetricamente opposto? Che senso ha da parte di un organo del governo? E oltretutto, come si pensa di poter inserire nuovi concorrenti in una tratta sulla quale la vera concorrenza la esercita ormai l’alta velocità ferroviaria, contribuendo non poco a deprimere i profitti che da essa sperava di ricavare la Cai, come si chiama in sigla la nuova compagnia Alitalia-Air One?
Ricordiamo sommariamente l’antefatto. Confrontando la situazione di Alitalia con quella delle due principali compagnia aeree straniere concorrenti (e oltretutto entrambe potenzialmente antagoniste nella strana asta per Alitalia) Colaninno aveva sin dal principio chiarito che secondo lui e i suoi consiglieri industriali una condizione essenziale per la riuscita della sua sfida era quella di restituire all’Alitalia, attraverso la fusione con Air One, una quota di mercato sui voli nazionali paragonabile a quella che Air France aveva potuto conservare in Francia nonostante la liberalizzazione e Lufthansa in Germania: cioè quote di oltre il 70%, nel caso di Air France oltre l’80%. Mentre Alitalia da sola veleggiava attorno al 50%. Su questo punto non solo il governo fu subito d’accordo ma si procurò una sostanziale “astensione dal veto” da parte delle due autorità antitrust competenti, quella nazionale e quella europea.
Questo primo anno di nuova gestione Alitalia ha dimostrato che il recupero di quota non basta a garantire i margini attesi, ma indubbiamente aiuta. Solo che la crisi economica, la concorrenza straniera sui viaggi internazionali e, non ultimo, il successo dell’alta velocità ferroviaria stanno quantomeno frenando la velocità di miglioramento del business Alitalia. Come pensare, allora, di abolire quella condizione di “vantaggio competitivo” su cui l’intera operazione di Colaninno si è fondata?
È un’idea a dir poco balorda, surreale. Ma è tipica della confusione e dell’approssimazione che ha scandito anche all’interno della maggioranza di centrodestra del Paese, la vicenda Alitalia sin dal principio. La verità è che la crisi economica ha fatto saltare le previsioni di Colaninno & C. e la scelta di abbandonare Malpensa, pur se necessaria per salvaguardare la strana alleanza con Air France, si sta rivelando probabilmente un errore, perché ha allontanato la compagnia dal ricco business rappresentato dall’opportunità di servire la zona di mercato più dinamica d’Italia.
Ma tant’è: Alitalia-Air One va ancora male, e ormai quasi tutti – non i soli maligni, come accadeva un anno fa – pensano che più prima che poi la compagnia, per stanchezza, finisca dritta nella braccia di Air France, così compiendo comunque, ma con costi pubblici molto superiori, il percorso originario preferito dal governo Prodi.
Speriamo di no: sarebbe comunque una perdita per un Paese come l’Italia veder passare sotto bandiere (e quindi interessi) stranieri – e nel caso francese estremamente nazionalistici – la compagnia aerea nazionale. Ma il modo giusto per aiutare l’azienda a salire finalmente in quota e raggiungere finalmente la velocità di sostentamento non è certamente quello di stigmatizzare come illecita una situazione non solo risaputa ma deliberatamente accetta, anzi programmata, come parte integrante delle premesse industriali su cui è nata l’offerta Colaninno.