Non è necessario che ci siano dei sacerdoti-scienziati per dimostrare il pieno accordo tra l’esperienza di fede e la conoscenza scientifica della natura. Lo afferma don Giuseppe Tanzella-Nitti – già ricercatore Cnr presso l’Istituto di radioastronomia di Bologna, poi astronomo all’Osservatorio di Torino e oggi ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia università della Santa Croce e direttore del centro di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede – in una delle interviste (l’altra è al sacerdote e fisico-matematico Alberto Strumia) che chiude il volume Scienziati in tonaca di Francesco Agnoli e Andrea Bartelloni, appena giunto in libreria (ed. La Fontana di Siloe).
«Personalmente – dice Tanzella – non ritengo che la figura del sacerdote-scienziato, o come lo si voglia chiamare, debba essere la norma. Ce ne potrà essere qualcuno, ma pare chiaro che la maggioranza degli uomini di scienza non possano, direi non debbano, essere sacerdoti. Può accadere che in alcuni curriculum personali vi sia una doppia competenza a livello universitario o perfino a livello di ricerca attiva, ma resteranno sempre dei casi isolati. Nei secoli passati tali figure erano più frequenti, è vero, ma ciò era dovuto al fatto che, negli ambienti colti, il clero apparteneva spesso a una classe sociale che accedeva più facilmente agli studi di carattere universitario. Eppure, al di là di tutto, ciò manifestava la buona familiarità che il clero cattolico aveva con la ricerca scientifica. Questa familiarità con la scienza aveva conseguenze importanti non solo per il ministero dei futuri sacerdoti, ma anche per tutti i cristiani, in quanto favoriva un contesto intellettuale dove la scienza poteva essere insegnata e assunta con naturalezza in un orizzonte culturale ove le verità della fede cristiana continuavano a essere un punto di riferimento stabile».
Ecco quindi un motivo di interesse di un testo come questo, che raccoglie i profili storici e scientifici di alcuni uomini di Chiesa che hanno praticato le scienze ai massimi gradi e con notevoli risultati. Mostrando il reciproco vantaggio e il fecondo rapporto che si instaura tra le due “ricerche”, quella scientifica e quella religiosa, ancor più quando esse si trovano riunite contemporaneamente nella stessa persona a livello professionale.
Ancora Tanzella osserva il valore anche metodologico della familiarità con la scienza e della sua pratica quotidiana: «le conoscenze scientifiche acquisite in oltre dieci anni di ricerca attiva dopo i miei studi universitari, continuano a essermi utili, offrendomi un contesto di rigore metodologico e di visione d’insieme di cui, sono certo, anche la riflessione teologica si giova».
Come pure è importante sottolineare il contributo dato dalla riflessione sull’esperienza religiosa a quell’allargamento della ragione, invocato dal Papa Emerito Benedetto XVI, senza il quale la scienza si riduce a un esasperato specialismo, apparentemente potente ma in realtà incapace di cogliere la vera natura dei fenomeni e di gestire le conseguenze delle sue stesse scoperte.
Tutto questo emerge, più o meno esplicitamente, nelle personalità raccontate nel libro di Agnoli e Bartelloni; dove accanto a nomi ben noti, come Copernico, Mendel e Galvani, ce ne sono altri meno noti o del tutto sconosciuti ma che hanno avuto anche ruoli rilevanti nello sviluppo di specifici filoni della ricerca scientifica.
Si potrà così scoprire che alle origini del magnetismo c’è l’opera del gesuita Leonardo Garzoni, il cui manoscritto (oggi conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano) dei Trattati della calamita, contiene buona parte del materiale poi confluito nella Magia naturalis di Giovanni Battista Della Porta e nel De magnete di William Gilbert, quest’ultimo considerato universalmente “il padre del magnetismo”.
Oppure si troverà che uno degli allievi prediletti di Galileo, il barnabita padre Benedetto Castelli, è l’autore di un testo originale, Della misura delle acque correnti (1628), che segna «l’atto di nascita di una nuova scienza galileiana, l’idraulica, in quanto in esso viene enunciata e dimostrata rigorosamente la legge di continuità delle correnti (detta anche Prima legge dell’idraulica o Legge del Castelli)».
O ancora si potrà incontrare uno dei padri della citologia, l’emiliano Bonaventura Corti, che nel 1774 pubblica le sue ricerche sul movimento della linfa nelle alghe Charophyceae ribaltando l’idea, allora prevalente, secondo la quale i fluidi salgono di giorno attraverso i vasi del legno e scendono di notte per quelli della corteccia. Il Corti osserva che la linfa sale e scende dallo stesso canale senza che le due correnti si mescolino; il che lo porta a supporre che i canali siano divisi in senso longitudinale. La sua scoperta rimarrà a lungo trascurata, anche se sarà poi rivalutata come la prima osservazione dei movimenti protoplasmatici nelle cellule vegetali e sarà riconosciuta la sua importanza per la definizione della teoria cellulare stessa; i suoi studi anticipano il botanico Robert Brown nella descrizione di questi movimenti, detti poi moti browniani.
Per non parlare del sacerdote belga Georges Eduard Lemaître, al quale è dedicato il capitolo conclusivo del libro e anche la copertina (che lo ritrae a colloquio con Einstein). Il suo nome è legato a uno degli argomenti scientifici più frequentati oggi anche dal grande pubblico, l’origine dell’universo, ed è stato il primo a suggerire (nel 1927) l’idea dell’inizio del tutto a partire da quello che lui definiva l’atomo primitivo: idea oggi sulla bocca di tutti (più o meno consapevolmente) con riferimento al Big Bang e alla successiva espansione cosmica.
Lemaître, nominato nel 1960 Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, ha sempre dichiarato di non avere “conflitti da riconciliare”; e con lui ci imbattiamo, ancora una volta, nella testimonianza di un arricchimento reciproco e del grande vantaggio, anche per chi fa scienza, offerto da una posizione di fede; diceva Lemaître «il credente ha forse il vantaggio di sapere che l’enigma ha una soluzione, che la scrittura soggiacente è, tutto considerato, l’opera di un essere intelligente, che il problema della natura può essere risolto e che la sua difficoltà è senza dubbio proporzionata alla capacità presente o futura dell’umanità. Tutto ciò non gli darà forse delle nuove risorse nella sua ricerca, ma contribuirà a mantenerlo in un sano ottimismo, senza il quale non si può conservare a lungo un forte impegno».