Le strane capriole della politica. Silvio Berlusconi l’aveva detto durante la conferenza stampa di fine anno: «Ho posto io alla Lega il termine del 28 gennaio per l’eventuale allargamento della maggioranza, altrimenti si vota».
Ieri è stata la Lega a dire la stessa cosa, ma a parti invertite: «Gennaio è il mese decisivo, se non si approva il federalismo si va a votare». La sostanza è la medesima, tuttavia sono diversi gli autori dell’ultimatum, tutto teso a un unico obiettivo: votare entro pochi mesi.
Fino al 14 dicembre, quando è stata bocciata la doppia sfiducia al governo (e assieme a essa, anche l’ipotesi di un governo tecnico), abbiamo assistito alla gara opposta, quella dello scaricabarile del voto.
Erano tutti convinti che il governo non ce l’avrebbe fatta, ma nessuno voleva assumersi l’onere di farlo cadere, per non essere punito dagli elettori in quanto responsabile del vituperato voto anticipato.
Ora, sconfitte le truppe di Fini (sempre che la ricostituita coppia Feltri-Belpietro non trovi altri «scoop» con cui riportare in prima pagina gli ammaccati Bocchino e Granata) e salvato il governo per il rotto della cuffia, ci si rende conto che la vittoria del 14 dicembre è stata importante, ma niente affatto risolutiva.
Con tre voti di maggioranza non si governa, questo si sapeva. Ma neppure con la decina di «new entry» garantite da Berlusconi. Il vero lavoro legislativo infatti si fa nelle commissioni parlamentari. E sono parecchie, in entrambe le Camere, le commissioni in cui il governo è privo di maggioranza. Il lavoro di allargamento cui punta Berlusconi dovrebbe essere più ambizioso, se non si vuole condannare il governo a vivacchiare di stenti.
Dunque, l’aver superato lo scoglio rappresentato dal voto di sfiducia ha completamente ribaltato la situazione. Prima, le elezioni anticipate venivano agitate come lo spauracchio da evitare per non precipitare il Paese in una crisi al buio. Adesso invece sono indicate come l’unica soluzione possibile per uscire dal pantano. Ecco perché ora i due soci rimasti nella maggioranza, Berlusconi e Bossi, fanno a gara per aggiudicarsi la primogenitura delle urne anticipate: come ha detto Bossi, è il modo per strappare l’Italia alla «palude romana».
È soprattutto il Carroccio a scalpitare, con uno scoppiettio di fuochi artificiali ritardati rispetto al Capodanno: il pressing sul federalismo, i toni molto accesi delle dichiarazioni sul caso Battisti e sulle persecuzioni islamiche contro i cristiani, e ancora gli allarmi piuttosto oscuri sulle cimici nascoste per spiare Bossi e gli agguati alle sedi leghiste seguite da indagini approssimative e arresti affrettati.
Il nervosismo del Cavaliere per l’asse Bossi-Tremonti si può spiegare anche con la volontà di non perdere terreno dietro l’attivismo padano, che fa clamore e tiene vivo l’elettorato in prospettiva elettorale.