L’attenzione generale polarizzata su Parigi e Bruxelles toglie le vicende romane dai riflettori. Ma allo stesso tempo consente ai politici romani di muoversi lontano dalle luci. Farsi avvolgere dall’ombra fa comodo a tutti. Dunque cos’è successo nella politica italiana in questi giorni in cui l’opinione pubblica era catturata dalle tragedie francesi?
Da un lato è successo che Matteo Renzi ha potuto traccheggiare ancora stendendo un velo (ovviamente pietoso) sulla sua azione di politica economica. La legge di stabilità prosegue a rilento il percorso parlamentare mentre la minoranza interna al Pd non riesce a organizzarsi decentemente. Cuperlo, Speranza e Lo Giudice puntavano al 5 dicembre per lanciare una nuova «sinistra di governo», salvo scoprire che per quello stesso giorno la segreteria Pd ha organizzato mille banchetti nelle piazze italiane. Così l’iniziativa è stata rinviata alla domenica successiva. E si svolgerà in concomitanza con la Leopolda renziana a Firenze, la quale naturalmente coprirà ogni altro evento.
Sull’altro versante si conferma l’immobilismo del centrodestra, nonostante la ripresa di iniziativa di Silvio Berlusconi che si mostra molto più attivo e presente che nei tempi recenti. Ma la ricomparsa del Cavaliere per ora non si accompagna a una maggiore incisività nell’azione politica né a una capacità più marcata di decidere, come dimostra il perdurante impasse in vista delle elezioni amministrative di primavera. Non che il Pd sia messo meglio, ma almeno parte in vantaggio. Il centrodestra invece deve recuperare posizioni e le incertezze sulle candidature a sindaco non avvicinano certo gli elettori indecisi.
Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia si trovano in una condizione drammatica. Se arrivassero al ballottaggio con il Pd, molto difficilmente riuscirebbero ad attirare i voti grillini. Viceversa, se al secondo turno si presentassero Pd e M5s, secondo i sondaggi con tutta probabilità prevarrebbero questi ultimi. Il centrodestra, insomma, sarebbe destinato a soccombere in un modo o nell’altro, che si presenti unito o diviso. In più si stanno affermando logiche che confliggono con le più concrete possibilità di successo: dividersi a Roma tra sostenitori di Marchini e Meloni, e presentare a Milano una personalità come Sallusti — il quale non sembra in grado di attirare il voto moderato e borghese (che nella capitale economica del Paese ha un peso decisivo) — potrebbe condannare a priori il centrodestra all’irrilevanza.
Nei suoi ultimi interventi, Berlusconi ha calcato i toni sul «pericolo grillino». Anche ieri, a un convegno forzista di Palermo, ha ripetuto che secondo i sondaggi «c’è il rischio di consegnare l’Italia a questa banda di balordi guidata da Grillo, che si è tolto di scena e ha trovato due bravissimi rappresentanti (Di Maio e Di Battista, ndr) che bucano lo schermo e per questo hanno raggiunto il 28%». È ancora questo il suo cavallo di battaglia: la paura che vinca l’avversario, piuttosto che l’affermazione positiva del proprio partito.
Sotto questo aspetto Renzi è messo meglio. Sala a Milano sembra in grado di ripetere il risultato di Giuliano Pisapia, che da sinistra convinse la borghesia meneghina. Sala è meno schierato ideologicamente e può fare valere il successo di Expo che i milanesi hanno ben presente. Mantenere Milano sarebbe un successone per il premier. E può valere più di uno zero virgola di Pil. Una crescita ridicola che è quanto di meglio il governo Renzi sia riuscito a fare in una congiuntura favorevole fatta di euro competitivo e costo del petrolio particolarmente basso. Il segretario Pd ripete che si voterà nel febbraio 2018, cosa che conviene a tutti fuorché ai grillini. Che hanno perfino cancellato dal simbolo il nome del fondatore e, come Mao, si dispongono a sedersi sulla sponda del fiume attendendo quale cadavere transiterà per primo.