Per ora le parole hanno di gran lunga superato i fatti. Di lavoro non si è mai parlato come in questi ultimi mesi, ma per ora nessun passo in avanti è stato concretamente compiuto. Si è parlato di “Jobs act”, cioè di un testo unico di provvedimenti per il lavoro; si è parlato di taglio al cuneo fiscale per dare maggiore competitività alle imprese; si è parlato di pagamento rapido dei crediti delle imprese verso la Pubblica amministrazione in modo da fornire alle stesse imprese nuove risorse per investimenti e occupazione. Tutte cose belle, buone e giuste. Solo se diventassero concrete. Si è parlato molto meno delle iniziative che avrebbero dovuto già partire e che si sono incagliate nel labirinto tutto italiano delle procedure. E non si tratta di cose da poco. Soprattutto perché riguardano i giovani.
In primo piano c’è il progetto europeo “Youth Guarantee”, garanzia per i giovani, che l’Unione europea ha proposto con significativi finanziamenti per smuovere gli interventi degli Stati in questa prospettiva. A questa iniziativa è dedicato il libro “Garanzia giovani, politiche attive per l’occupazione giovanile” edito da GiGroup Academy in collaborazione con l’editore Guerini, libro che comprende interventi dei maggiori esperti del settore: Giuliano Cazzola, Elsa Fornero, Antonio Bonardo, Stefano Colli-Lanzi, Pietro Ichino, Dennis Pennel e Gabriele Toccafondi.
Come spiega Cazzola nell’introduzione: “Il programma YG prevede che a ogni giovane che esce da un ciclo scolastico e non abbia immediatamente un’occasione di lavoro venga offerto dal servizio pubblico in collaborazione stretta con organizzazioni private imprenditoriali, entro il termine massimo di 4 mesi: un servizio di orientamento scolastico e professionale; una opportunità di lavoro, o di addestramento, formazione on the job o apprendistato, indirizzata verso gli skill shortages, cioè le migliaia di posti di lavoro che in Italia restano permanentemente scoperti per difetto di persone con le attitudini richieste; oppure, dove possibile, una forma di assistenza per l’avvio di lavoro autonomo o di impresa”.
In pratica quelle che si chiamano “politiche attive”, il che vuol dire andare oltre il tradizionale tentativo di far incontrare domanda e offerta di lavoro, muovendosi su di un piano in cui sono integrate le strategie di formazione, l’accompagnamento verso iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo, la ricerca di un migliore rapporto tra scuola e mondo del lavoro.
L’iniziativa Garanzia per i giovani potrebbe mobilitare in Italia 1,5 miliardi di euro, per due terzi finanziati dall’Unione europea e a questo fine è stata già tracciato uno schema di programma anche al fine di non perdere, come spesso accaduto in passato, i finanziamenti europei. La direzione scelta dall’Italia lascia tuttavia più di una perplessità, anche perché si muove lungo lo scenario di criticità in cui da molti anni si trovano le politiche per il lavoro.
Basti pensare che la competenza in questa materia, per l’ormai famoso Titolo V della Costituzione, è affidata alle Regioni, le quali a loro volta si appoggiano sui Centri per l’impiego che sono invece organizzati su base provinciale. Ma le province sono in via di abolizione e comunque l’esperienza del recente passato non ha dimostrato particolare efficienza per queste strutture. Comunque sia non si può non registrare il paradosso di un’iniziativa europea che per essere applicata in Italia deve passare attraverso la firma di 20 convenzioni tra lo Stato e ogni singola regione.
I passi compiuti risentono poi della tradizionale visione accentratrice e statalista che contraddistingue molto spesso la politica italiana. Eppure nel mercato del lavoro, proprio grazie alle liberalizzazioni spinte dall’Europa, vi sono state significative novità in questi ultimi anni in particolare con il superamento del monopolio statale sul collocamento e del divieto di intermediazione. Le agenzie private, per esempio, hanno svolto un ruolo sempre più importante e hanno acquisito esperienza e know-how che potrebbero essere particolarmente utili per concrete politiche attive per il lavoro ai giovani.
Una risposta burocratica e formale alle iniziative europee, una risposta che non perseguisse tutte le opportunità, sarebbe particolarmente grave in una fase come l’attuale. Una concreta politica per il lavoro non può che comprendere interventi a vasto raggio che contenga non solo incentivi e facilitazioni, ma che coinvolga dalla politica fiscale alle riforme delle regole, dalle scelte che possono migliorare la competitività delle imprese alle politiche formative ed educative. La realtà italiana, infatti, è talmente complessa che ben difficilmente un incentivo economico può compensare un vincolo normativo. E di vincoli normativi ce ne sono anche al di là dell’articolo 18.
Un nuova politica del lavoro richiede obiettivi e soprattutto scelte ambiziose. Ma in questo periodo le scelte ambiziose non sembrano spaventare. Nella consapevolezza che la disoccupazione giovanile è già un’emergenza. Il rischio non è tanto quello, che pur esiste, di un dilagare della protesta e delle tensioni sociali, quanto quello di una perdita da parte dei giovani di quel valore fondamentale che è la speranza. La speranza di poter costruire, di poter dare un senso e un punto d’appoggio alla propria vita, di poter mettere in gioco la propria competitività.