Altro che tranquilla pausa pasquale in Costa Smeralda: per Silvio Berlusconi la parentesi festiva rischia di inaugurare una fase molto pericolosa. All’origine non ci sono le contestazioni per il 25 Aprile, alle cui manifestazioni il premier non ha partecipato (ma non è una novità) perché rientrerà oggi a Roma, né i fischi per i suoi ministri, e neppure le vergognose esibizioni dei centri sociali, i quali pare attendano ogni anno la festa della Liberazione per ricordare agli italiani che non sono ancora una razza estinta.
Il problema è il precipitare della crisi in Libia, con i ribelli che hanno riconquistato Misurata e Gheddafi che ha risposto intensificando il fuoco. Così, ieri il governo ha deciso di rompere gli indugi e partecipare attivamente ai bombardamenti senza limitarsi a fornire appoggio logistico come finora era avvenuto. Una nota diffusa ieri sera da Palazzo Chigi riferisce che sarà introdotta una «maggiore flessibilità operativa dei propri velivoli con azioni mirate contro specifici obiettivi militari selezionati sul territorio libico» per salvaguardare i civili. La richiesta è giunta dal presidente americano con una telefonata. Il governo italiano ha aderito ritenendo che questo potere sia contenuto nel mandato ricevuto dal Parlamento.
Colpisce che la decisione italiana di unirsi ai raid sulla Libia arrivi 24 ore dopo l’appello di Benedetto XVI a favorire il cessate il fuoco, tanto più perché Palazzo Chigi nella nota non cita l’aggravamento delle ultime ore, ma la richiesta Nato del 14 aprile. Ed è sconcertante il fatto che la mossa repentina di Berlusconi, concordata con i ministri Frattini e La Russa, abbia colto di sorpresa l’intera politica italiana.
Durissima è stata la reazione della Lega, anzi di una parte del Carroccio, escluso dai colloqui bellici e sensibile al sentimento pacifista radicato tra gli elettori. Calderoli, spalleggiato da Castelli, ha detto che «i bombardamenti non avranno il mio voto: non so che cosa significhi flessibilità operativa, ma se questo volesse dire bombardare non se ne parla». Tace invece Maroni, alla vigilia di un delicatissimo vertice con la Francia sull’emergenza immigrati.
Colti alla sprovvista anche i «responsabili»: il capogruppo Sardelli ha invocato «prudenza, dialogo e confronto, ponderazione e condivisione» auspicando che anche «l’opposizione si esprima», mentre il compagno di partito Belcastro ha tagliato corto manifestando «sostegno convinto» alla svolta belligerante. Sbandamento anche nelle file del Pd: per Gasbarra il governo vìola la Costituzione perché dovrebbe chiedere l’autorizzazione del Parlamento senza limitarsi a un’informativa, viceversa per la capogruppo al Senato Finocchiaro «se verranno confermati i confini della risoluzione Onu il Pd non farà mancare il suo assenso».
La confusione regna dunque sovrana, dentro e fuori il governo. La spiegazione della clamorosa giravolta sta nelle parole di La Russa: «L’Italia non ha voluto sentirsi da meno degli altri Paesi». E pensare che il titolare della Difesa aveva fermamente osteggiato una missione con missili e cannoni aerei limitando l’intervento italiano a pattugliamento e ricognizione nella «no fly zone». Più probabile che Obama abbia messo alle strette un governo che in pochi mesi ha dovuto abbandonare l’appoggio incondizionato a Gheddafi senza però sposare pienamente la linea interventista dell’Alleanza atlantica. E ora ha compiuto l’ennesima, improvvisa sterzata.