Ieri il primo ministro Renzi verso le 11 della mattina ha twittato questa analisi politica-economica: “Con le riforme sale il Pil, senza riforme sale lo spread. Avanti tutta, l’Italia ha diritto al futuro”. Non serve una particolare sagacia per cogliere il sottinteso: se vince il No al referendum vuol dire che non ci sono le riforme e quindi lo spread sale e, per la cronaca, starete tutti più male. Questo è evidentemente un tempo in cui tutti si lanciano in previsioni di borsa, soprattutto quando queste previsioni sembrano rigori a porta vuota. Sono ancora freschissime le previsioni di inviati in America ed economisti dell’ultima ora sull’effetto dell’elezione di Trump sulla borsa americana settimana scorsa; nessuno ha voluto perdere quella che sembrava un’occasione più unica che rara per passare alla storia come esperto lungimirante scommettendo su una cosa che sembrava certa. Praticamente un rigore a porta vuota. E tuttavia i terremoti e le tragedie sulla borsa americana non solo non si sono visti, ma si è assistito a un rally da incorniciare. Un promemoria perenne del fatto che le previsioni spesso coincidono solo con i nostri desideri; non citiamo per carità di patria le percentuali del 90% date alla vittoria della Clinton comparse sui principali media del globo a 24 ore da una sconfitta leggendaria. Dovremmo avere tutti abbastanza materiale per una diffidenza assoluta verso queste analisi. O sono tutte fatte da incompetenti assoluti o sono tutte interessate, o tutte e due.
Per esempio, qualcuno ci dovrebbe spiegare perché la Spagna che è stata senza governo da un anno ha avuto nel frattempo una “borsa” a posto. Mentre montano tra l’altro movimenti secessionisti. Qualcuno ci dovrebbe spiegare perché non succede niente in Olanda dove alle elezioni è favorito un candidato al cui confronto Donald Trump è un pericoloso bolscevico. Qualcuno, infine, deve ancora spiegarci perché chi ha investito sulla borsa inglese il giorno dopo la Brexit oggi guadagna anche al netto della svalutazione della sterlina. Vogliamo poi parlare dell’effetto “Donald Trump” sulla borsa americana? Tra apprezzamento del dollaro e rialzo della borsa chi ha messo i soldi a Wall Street il giorno prima delle elezioni oggi porta a casa quasi il 10%; non male in una settimana.
La Borsa italiana scende per due motivi. Il primo, e potremmo anche essere in buona compagnia, è che l’economia va male e il debito continua a salire. Il secondo è che non è stata trovata una soluzione al problema delle banche italiane che è emerso un anno fa con il “fallimento” di Banca Etruria & co. Se questo governo che è lo stesso che ha passato sulla testa di “poteri forti” riforme molto pesanti come quella sul lavoro in un trimestre, non è riuscito a incidere su queste due questioni, allora si dovrebbe dire che un cambiamento è auspicabile. È vero che il noto è sempre meglio dell’ignoto per i mercati, ma è anche vero che se l’ignoto, per esempio Trump, si scopre essere, dal punto di vista economico, non peggiore, allora non cambia niente e anzi si possono persino immaginare, letteralmente, ragioni per tornare a comprare. Oggi non si possono immaginare queste ragioni perché la realtà è quella di un governo che non ha sistemato le banche e non ha sistemato i conti pur avendo dimostrato di avere tutta la forza possibile e necessaria per fare le riforme. Se vincesse il Sì le cose ovviamente non cambiano.
Il mercato ha dimostrato di essere molto ricettivo ai cambiamenti. Anche, paradossalmente, se non si è certi della bontà di questi cambiamenti. Vale l’assunto che lo status quo, non solo per l’Italia, non va bene e che non consente una crescita sostenibile nel medio lungo termine con una riduzione della disoccupazione. Se questo è lo status quo, che tutti concordano non andare bene, soprattutto se accompagnato alla creazione di bolle finanziarie colossali, allora un cambiamento è destinato a essere percepito molto più come un’opportunità che un rischio. Se in Italia le cose non andassero molto male come oggi al mercato non interesserebbe assolutamente niente del referendum, esattamente come non interessa niente delle elezioni francesi od olandesi.
Renzi, per essere ancora più chiari, dovrebbe presentarsi come il nuovo per solleticare le fantasie più proibite del mercato su un’Italia che recupera, ma è molto difficile dopo due anni e rotti avendo dimostrato che poteva fare tutte le riforme che voleva, quando voleva, come le voleva. Oggi “diciamo” che se vince il Sì è meglio per lo “spread” e la “borsa”. Siamo sicuri che sia proprio così? Un altro “rigore a porta vuota”? Settimana scorsa ha sbagliato chi dava la Clinton vincente al 90% e chi, e spesso coincidono, il giorno dopo ha predetto terremoti e tragedie in borsa. Qualcuno invece ci spieghi perché anche stavolta non dovrebbe succedere il contrario se il giorno dopo c’è “solo” una possibilità in più che prima non c’era.
E se dopo una vittoria del No lo spread scendesse? Non è quello che abbiamo visto settimana scorsa?