In questo recente torno di tempo sono state pubblicate diverse indagini inerenti le professioni, le abilità e competenze, e più in generale, le modalità con cui avviene la ricerca di lavoro, anche sui social networks. Solo per citare le più significative, qualche mese fa è stata presentata una ricerca congiunta Isfol-Istat su Le professioni in tempo di crisi. Competenze, abilità e condizioni di lavoro con la quale si è inteso intervistare la forza lavoro al fine di delineare un “profilo medio di ciascuna unità professionale in relazione ai numerosi punti di vista dai quali è possibile analizzarla”. Sempre l’Isfol ha reso disponibile, sul sito www.professionioccupazione.isfol.it, la prima edizione dell’indagine Audit sui fabbisogni professionali contingenti. Diverse settimane fa, invece, alla Fiera del lavoro di Verona, “Jobs&Orienta”, è stata presentato il report Unioncamere-Excelsior relativo alle professioni di difficile reperimento nel corso del 2014.
Tutte queste rilevazioni sono di per sé interessanti e rappresentano, la prima, il punto di vista dell’offerta di lavoro, ovvero di coloro che sono già occupati, mentre le altre due, che possono essere considerate complementari, riportano le esigenze che vengono indicate come prioritarie dalla domanda, vale a dire dai datori di lavoro. Resta inteso, infine, che il raffronto tra queste indagini non potrà essere puntuale in quanto, ça va sans dire, esse sono diverse sia nella metodologia che negli obiettivi di fondo, ma nondimeno costituiscono, pur sempre, l’occasione per provare a rintracciare qualche elemento utile a comprendere le dinamiche in atto nel mercato del lavoro nazionale.
L’ora presente non sembra essere solo un tempo di crisi, come pure viene evidenziato nell’indagine Isfol-Istat, ma anche foriera di cambiamenti a medio e lungo termine, di un certo rilievo. Così come la società intera, difatti, anche il variegato mondo delle occupazioni e delle professioni si trova, oggigiorno, a fronteggiare moltissime innovazioni organizzative e tecnologiche (business intelligence, new technology trends, social computing, mobile apps, consumerization, data center automation, big data analitycs, cloud computing, internet of things, ecc..), le quali iniziano ad avere effetti, sempre più pervasivi, sulle modalità operative con cui le occupazioni vengono svolte ogni giorno, nei concreti posti di lavoro.
In questa temperie culturale riuscire a enucleare qualche snodo critico, vale a dire provare a individuare qualche tendenza evolutiva, o almeno uno sbozzo di analisi, è operazione che, tutto sommato, vale la pena tentare seppur sempre consapevoli dell’estrema provvisorietà di tali riflessioni, passibili di rapide smentite nell’arco di pochissimo tempo.
In questo primo articolo si intende prendere in esame il quadro generale, a carattere strutturale, iniziando dall’indagine che tratta delle professioni in tempo di crisi, mentre in altri successivi verrà continuata l’analisi facendo riferimento ad altre caratteristiche precipue, riferite sia alla domanda che all’offerta di lavoro.
L’Isfol riporta che le occupazioni, nel quadriennio 2008-12, sono calate di oltre 500.000 unità e che, fra i diversi grandi gruppi professionali (secondo la classificazione delle professioni Istat CP 2011) quello degli artigiani e operai specializzati (il sesto grande gruppo composto, ad esempio, dagli operai dell’edilizia, da metalmeccanici specializzati, installatori e manutentori di attrezzature elettriche ed elettroniche, da operai del legno, del tessile, dell’abbigliamento, delle pelli, del cuoio) ha subito il decremento maggiore (-555 mila unità). Anche il gruppo degli imprenditori e dei dirigenti (il primo grande gruppo) ha fatto registrare un calo assai marcato: -449 mila unità di cui 100mila solo nel 2012, con una decisa contrazione di imprenditori e direttori di grandi (-54.000) e piccole imprese (-40.000).
A questo decremento si è contrapposta una forte crescita delle occupazioni non qualificate (l’ottavo grande gruppo composto, ad esempio, dal personale addetto alle pulizie, ai lavori di manovalanza, di portierato, di lavanderia ed assimilati, ecc.), delle occupazioni non qualificate nelle attività commerciali (nei servizi turistici quali gli addetti alla ristorazione, ecc.) e dei servizi (il personale di segreteria, ecc.). Le occupazioni non qualificate sono aumentate di 358 mila unità, mentre quelle dei servizi, in maniera ancora più cospicua, +372 mila.
Le professioni tecniche (il terzo grande gruppo composto da tecnici in campo scientifico, ingegneristico e della produzione, in ambito finanziario e assicurativo, nell’organizzazione e nell’amministrazione, ecc.) e quelle intellettuali, scientifiche e a elevata specializzazione (il secondo grande gruppo composto da specialisti dell’educazione, della formazione e della ricerca, delle scienze quantitative fisiche e chimiche, specialisti in scienze sociali, economiche e giuridiche, ecc.) hanno fatto registrare dei segnali di ripresa. Dopo la forte contrazione negli anni 2008-2011, pari a -322 mila unità, nel caso delle occupazioni tecniche, il calo nell’ultimo anno considerato, il 2012, è stato solo dello 0,3%, mentre le professioni a elevata specializzazione, dopo la perdita di oltre 100 mila unità nel triennio 2008-11, hanno fatto segnare, nell’ultimo anno considerato, un aumento pari a 62 mila unità.
L’analisi è stata svolta anche a livello di genere e si deve qui sottolineare che l’occupazione femminile è quella che ha mostrato la maggiore resilienza in questo quadriennio di crisi. Tale componente, nonostante un calo assai marcato tra le professioni tecniche (-231 mila unità), ha messo a punto un incremento cospicuo, assai più della corrispondente maschile, nelle occupazioni dei servizi (+14,1%) e in quelle non qualificate (+24,9%). In questi due ultimi raggruppamenti le occupate aumentano, rispettivamente, di quasi quattro volte e circa il doppio degli uomini.
Quali elementi di riflessione trarre da questo quadro assai generale? In primo luogo, appare verosimile un considerevole schiacciamento verso il basso della piramide occupazionale dovuto alla crescita delle occupazioni non qualificate sia nelle attività commerciali che nei servizi. L’aumento delle professioni non qualificate interessa sia donne che uomini: mentre per questi ultimi l’incremento è avvenuto un po’ in tutti i settori (addetti nei servizi alle imprese, nei trasporti, nel commercio e negli alberghi), per le donne è stato perlopiù nei servizi alle imprese (nel commercio, nella sanità, nella ricezione e ristorazione) e nei servizi alle famiglie (addette all’assistenza personale).
In secondo luogo, come già visto, va evidenziata la tenuta dell’occupazione femminile, a maggior ragione se confrontata con il calo di quella maschile. Essa si è avuta soprattutto nei settori della sanità e dell’assistenza sociale e, in misura minore, in quelli delle attività legate all’educazione e alla formazione. Il contributo apportato al tasso di occupazione sembra essere dovuto a molteplici fattori tra i quali i più rilevanti paiono essere l’entrata, nel mercato del lavoro nostrano, delle donne straniere, così come la rinnovata ricerca di un lavoro, da parte delle italiane, attribuibile sia all’innalzamento dell’età pensionabile che per integrare o sopperire, in molti casi, il reddito del coniuge. Per quel che riguarda il calo dell’occupazione maschile, essa sembra essere dovuta soprattutto alla crisi del settore delle costruzioni e di quello del manifatturiero.
In terzo luogo, le professioni tecniche e di elevata specializzazione hanno fatto registrare dei notevoli cali con qualche segnale di ripresa nell’ultimo anno preso in esame. Sarebbe proprio questo decremento il segnale più forte che è dato cogliere da questo rapporto in quanto se ne potrebbe inferire che il lungo percorso di professionalizzazione, compiuto da moltissime occupazioni nel corso del secolo scorso, venga ora messo fortemente in discussione. La “professionalizzazione per tutti” ha, difatti, rappresentato un grande volano di cambiamento, una fortissima spinta collettiva nutrendo le naturali ambizioni di quanti, trovatesi in un Paese appena uscito dal Dopoguerra, vi hanno visto un vistoso segno di affermazione sociale non foss’altro per tutto quello che ciò ha significato in termini di conquiste economiche, vita quotidiana e cultura materiale.
La traiettoria epocale del passaggio dalle occupazioni alle professioni, nel tentativo variamente riuscito di rimodellarsi in base al “conseguimento di status”, tipico delle professioni liberali, spingeva lo statunitense Harold L. Wilensky a chiedersi, nel 1964, in un noto saggio, The Professionalization of Everyone? se tutte le occupazioni sarebbero poi riuscite a compiere tale percorso. Così l’inizio del premonitore articolo: “Many occupations engage in heroic struggles for professional identifications; few make the grade. Yet there is a recurrent idea among students of occupations that the labor force as a whole is in one way or another becoming professionalized”. Se tale tendenza venisse davvero confermata negli anni a venire, ciò non potrebbe non avere effetti di lunga durata anche su tutto il sistema delle credenziali educative (e formative) su cui questo modello di professionalizzazione si è retto sinora.
L’attuale rincorsa al credenzialismo, mediante la continua acquisizione di titoli di studio formali, già adesso mostra tutti i suoi limiti, soprattutto in una realtà come quella statunitense, patria riconosciuta dello specialismo tecnico. La stessa stratificazione sociale, quella futuribile, non è più facilmente intelligibile, non solo da parte del ceto medio, ma neppure da parte dei politici, dei decisori pubblici, e neanche degli intellettuali d’antan spersi, oggigiorno, tra micro specializzazioni settoriali, mirabilie tecnologiche, linee di codice programmatorio e algoritmi probabilistici.
Vi è infine un’ultima riflessione che si può fare su questi dati, ma che approfondiremo in un prossimo articolo.
(1- continua)