La migliore notizia di ieri non è giunta a Silvio Berlusconi dal vertice di Arcore, cui sembrava appeso il destino della legislatura, ma da viale Mazzini, Roma: Santoro lascia la Rai. Questa mattina il giornalista dettaglierà i motivi del divorzio in una conferenza stampa che fa il paio con quella in cui si presentò coi capelli tinti e cotonati annunciando trionfante il rientro. Al Cavaliere non interessa il parrucchiere di Santoro, ma che sgombri il campo dal servizio pubblico.
Da Arcore, invece, non è arrivata la fumata bianca attesa. I segnali di fumo sembrano interlocutori e per capire qualcosa bisogna leggere tra le righe della dichiarazione del neo-segretario del Pdl. «Il rapporto tra Lega e Pdl, tra Bossi e Berlusconi, è solido», ha detto Angelino Alfano: vuol dire che il Carroccio non ha intenzioni destabilizzatrici e non toglierà la fiducia al governo, come qualcuno aveva ipotizzato dopo il recente disastro elettorale al Nord. Non è però ben chiaro su che cosa si basa il rinnovato patto tra alleati. Bossi voleva garanzie sul trasferimento di ministeri, o almeno di qualche ufficio ministeriale, da Roma: la richiesta era partita esattamente un anno fa da Pontida e il Senatùr voleva ripresentarsi sul pratone domenica 19 con qualcosa di concreto. Pare però che dovrà abbozzare.
Altro messaggio: «La maggioranza ha confermato l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2014 secondo i tempi e in base ai vincoli imposti dall’Unione europea». Questo è uno scoglio più pericoloso della sede dei ministeri. Il pareggio di bilancio fra tre anni si raggiunge attraverso manovre finanziarie «lacrime e sangue» che questo governo non sembra avere la forza di varare: da un lato il rigore di Tremonti, dall’altro una maggioranza traballante per l’affidabilità ancora incerta dei «Responsabili» (tenuti assieme dalle poltrone e dalle spese clientelari al Sud), dall’altro ancora l’esigenza di presentarsi alle elezioni del 2013 allargando almeno di poco la spesa pubblica.
Questa serie di incongruenze aveva rafforzato l’ipotesi di un voto anticipato nel 2012. Ma la Lega (e, in prospettiva di un riavvicinamento, anche l’Udc) volevano accompagnare l’annuncio elettorale con un segnale da Berlusconi: l’annuncio del passo indietro. Cosa che il Cavaliere non è ancora disposto a fare.
Dunque avanti così, con la promessa di una manovra finanziaria dolorosa ma dai contenuti indefiniti; con la promessa di riforme fiscali necessarie per riguadagnare consenso nell’elettorato deluso ma dai contorni ancora nebulosi. L’unica certezza è la presenza di Alfano; tuttavia il suo ruolo nel Pdl dev’essere ancora recepito dallo statuto del partito: si prevedono tempi non brevi, durante i quali si scatenerà il balletto sul nome del suo successore al ministero della Giustizia e sull’eventuale rimpasto di governo. Ieri non si è parlato di nominare due vicepremier, indicati in Tremonti e Calderoli.
La maggioranza, insomma, affronta con una prudenza che rasenta l’immobilismo il duplice appuntamento che la attende: la fiducia chiesta da Napolitano sull’inserimento dei nuovi sottosegretari e il varo delle misure di politica economica e di bilancio previste per fine giugno e forse destinate a slittare.