Banco Popolare precipita ai suoi minimi storici e trascina con sé la Popolare di Milano, già legata da una promessa di matrimonio “alla pari”. Ma anche il Credito Valtellinese non regge in Piazza Affari la prova dei conti trimestrali. Per non (ri)parlare delle due Popolari dissestate del Nordest: Atlante, il fondo nazionale “salva credito” alimentato in fretta e furia da Cdp, banche, fondazioni e assicurazioni, è già alla ricerca affannosa di partner per alleggrire il peso totalitario della Popolare di Vicenza, che ha fallito aumento e approdo al listino. Veneto Banca, nei programmi, si presenterà sul mercato fra un mese, probabilmente in parallelo con lo stesso Banco.
Entrambi i gruppi sono a caccia di un miliardo: Veneto per rientrare nei parametri patrimoniali Bce, il Banco per procacciarsi della dote richiesta da Francoforte per fondersi con Bpm. Ma dopo uno scivolone apparentemente inarrestabile (-70%) anche per la più grande Popolare italiana, quarto polo italiano, l’intervento di Atlante non è più un’ipotesi remota o teorica: mentre l’operazione Veneto – che sembrava essere al riparo della garanzia di Banca Imi – viene sempre più avvicinata negli esiti attesi al salvataggio della Vicenza.
Su questo sfondo non è certamente banale quanto ha detto ieri l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel. “Non escludiamo una partecipazione all’Ipo di Veneto Banca se fosse utile o indispensabile alla quotazione”, ha detto commentando la trimestrale del suo istituto. Ha aggiunto: “Quello che serve al sistema bancario italiano è un piano credibile di consolidamento del settore che è troppo frammentato. Noi facciamo la nostra parte” con le competenze di banca d’affari, “ma il punto è che serve un’accelerazione del consolidamento”.
È stata una riflessione interessata: Mediobanca sta cercando di riaffermare il suo primato di banca d’affari ristrutturatrice. Si era proposta last minute per far riuscire il collocamento della Vicenza, è al lavoro come garante sull’aumento del Banco. Sta chiaramente rilanciando segnali ad Atlante (veicolo nato nell’alveo di Intesa Sanpaolo e delle due Fondazioni): la messa in sicurezza del sistema bancario nazionale non può riuscire al solo Atlante. Quaestio, la sua management company, non ha tradizione di banca d’affari (e per la verità neppure di gestore di hedge fund) e sta già giocando fuori ruolo rispetto alla mission annunciata di smaltitrice delle sofferenze creditizie in Italia.
L’auto-riproposta di Mediobanca come “facilitatrice” sullo scacchiere bancario nazionale pone però una questione più generale: lo sviluppo, da 15 mesi in qua, della riforma delle Popolari. Una parabola nata su un discusso boom di Borsa dei titoli interessati alla trasformazione obbligatoria in Spa e affondata poi in giornate come quella di ieri. Le magnifiche prede del gennaio 2015 – le banche di territorio del Nord Italia finalmente strappate alle difese cooperative – sono diventate aziende che nessuno vuole più: e questo è un ennesimo disvalore contabilizzato dall’intero sistema-Paese, non solo dai soci delle Popolari dissestate o pericolosamente indirizzate al dissesto.
Una lettura provocatoria potrebbe forse attribuire a Matteo Renzi il merito di aver smascherato un sistema debole e obsoleto. Ulteriore provocazione sarebbe accusare Renzi di aver perso incisività in fase realizzativa: dare infine alle Popolari 18 mesi per attuare la riforma quando la normativa bail-in incombeva può avere addirittura ritardato il processo riaggregativo, per di più con una Banca d’Italia per varie ragioni azzerata come disegnatrice del nuovo piano regolatore del credito. Ma sembra non esserci più tempo per pensarci o discuterci su: e per la verità non c’era più tempo neppure il 22 novembre scorso. Eppure sono passati quasi sei mesi e il riassetto delle Popolari ha inanellato errori (come insistere sulla fusione Banco-Bpm), omissioni (condurre la Vicenza all’Ipo ignorandone i rischi fino a che UniCredit li ha denunciati all’ultimo) e costose soluzioni a pié di lista (risoluzioni e Atlante).