Il silenzio di Silvio Berlusconi perdura da due giorni. Sabato non ha commentato la sentenza d’appello sul lodo Mondadori, ieri non ha telefonato alla Festa della libertà di Mirabello. Il suo portavoce, Paolo Bonaiuti, ha spiegato che il premier preferisce starsene zitto «perché domani si aprono i mercati: la speculazione è in atto». Gli speculatori sono all’opera, è purtroppo vero; ma se Berlusconi dovesse tacere nel mezzo di ogni attacco finanziario contro l’Italia si condannerebbe a un mutismo perenne.
Sul risarcimento-monstre a Carlo De Benedetti il capo del governo ha lasciato campo libero alla figlia Marina, numero uno di Fininvest e da mesi, neppure troppo sommessamente, indicata come possibile erede anche politica del Cavaliere. Sulle conseguenze che tutto ciò ha sulla politica, ieri non si è sentita la voce nemmeno di Angelino Alfano. Il nuovo segretario del Pdl si sta concentrando su un’unica missione: costruire il Ppe italiano. L’arrivo dell’ennesimo plotoncino di ex finiani fuorusciti dal Fli è un viatico importante, anche perché Urso e Ronchi erano membri del governo. La maggioranza si allarga ulteriormente in una fase molto delicata.
Il silenzio è la virtù dei forti, dice il proverbio. In questo caso, però, sembra la scappatoia degli incerti. Un anno fa l’instabilità economica e finanziaria avrebbe rafforzato Berlusconi. Il premier avrebbe cavalcato la crisi dicendo che non c’erano alternative al suo governo, che consegnare il Paese alla sinistra sarebbe stato un disastro. Oggi tace. Pochi giorni fa si era lamentato perché «una chiacchierata» con un giornalista di Repubblica è diventata «un’intervista» di grande rilievo politico, che comunque si è ben guardato dallo smentire. Quel colloquio conteneva l’annuncio del ritiro nel 2013, ma soprattutto ufficializzava la ruggine con Tremonti, sempre smentita.
Berlusconi è al centro di un attacco di un nuovo tipo. Non più diretto a lui, al suo passato, al conflitto d’interessi, allo stile di vita, ai risultati politici più o meno scarsi. La sentenza sul lodo Mondadori lo tocca pesantemente nel portafoglio mentre l’inchiesta di Napoli sull’entourage di Tremonti tende a colpire il ministro più importante del governo, quello che ha retto i colpi della crisi e sta presentando una manovra finanziaria da lacrime e sangue.
Davanti a questo nuovo attacco «indiretto», Berlusconi fatica a reagire. Da un lato l’indebolimento di Tremonti fa comodo al premier, che non sembra essere sfiorato dalle indagini: significativo è che nessuno invochi il bavaglio ai giornali sulle indiscrezioni che colpiscono il titolare dell’Economia. Dall’altro lato, invece, il fascicolo napoletano mina direttamente il governo in un momento difficilissimo: Tremonti dovrebbe essere difeso dai colleghi, servirebbe un centrodestra che fa quadrato attorno al ministro sotto tiro spiegando le ragioni di scelte dolorose quanto discutibili. A cominciare dai troppi tagli orizzontali, il rinvio della riforma fiscale, la timidezza su quella pensionistica, i colpi di falce sui piccoli risparmiatori. Invece l’esecutivo mostra scarsa compattezza ed espone la finanza agli attacchi (esterni o interni?) degli speculatori.