Non sono state la marcia trionfale che Matteo Renzi auspicava, queste primarie del Pd. Il premier-segretario ha incassato il risultato, che poi è quello che conta maggiormente: a Roma ha prevalso nettamente Roberto Giachetti e a Napoli Valeria Valente, non ancora quarantenne ma con un curriculum politico già lungo. Il rovescio della medaglia è l’affluenza ai seggi democratici, un dato in altalena: ottima nel capoluogo campano, un disastro nella capitale.
Alla vigilia di un voto di solito ci si fa un solo augurio: che vinca il migliore. Invece sabato Renzi aveva lanciato un messaggio diverso ai suoi militanti. Un invito ad andare a votare. È stato ascoltato dove c’era competizione vera, come a Napoli tra Bassolino e la sua allieva prediletta. Nella città guidata dall’ex magistrato Luigi de Magistris è stata una battaglia all’ultima scheda con un aumento di partecipazione consistente rispetto alle precedenti primarie.
A Roma viceversa c’è stato un tracollo. I maggiorenti del Pd si aspettavano 100mila persone, se ne sono viste la metà. Colpa di candidature di scarso richiamo? Può darsi, ma in lizza c’erano sei persone ed è difficile pensare che siano state tutte scelte sbagliate. Certo, Giachetti e la sinistra “storica” si danno del lei: il vincitore delle primarie fu il capo della segreteria e braccio destro di Rutelli sindaco, e come Rutelli veniva dal partito radicale attraverso la Margherita e un convinto impegno ambientalista. Più organico alla Ditta è Roberto Morassut, che fu al fianco di Walter Veltroni. Due buoni conoscitori dell’infernale macchina amministrativa romana, due personaggi noti, e Giachetti non è nemmeno un renziano doc, della prima ora.
Il Pd in realtà paga gli scandali di Roma capitale oltre che gli errori dell’amministrazione di Ignazio Marino, ma anche la gestione poco chiara del caso Marino con il ridicolo balletto delle dimissioni date, ritirate e confermate, e la mancata difesa del suo partito che di fatto l’ha scaricato. La disillusione degli elettori di sinistra è fin troppo evidente. Ora c’è un candidato, un competitor per il Campidoglio, ma non è un combattente da coltello tra i denti.
Il calo di partecipazione alle primarie Pd a Roma è una buona notizia per gli avversari di Giachetti. Alfio Marchini e Guido Bertolaso vedono aumentare le possibilità di agguantare il ballottaggio; il centrodestra deve mangiarsi le mani per non essere ancora riuscito a presentarsi con compattezza. Ma tra un centrodestra senza spina dorsale e un centrosinistra senza credibilità, chi ne guadagna è soprattutto l’avvocatessa a Cinque Stelle. Forse c’è davvero un complotto per fare vincere i grillini.
Chiusa questa sfida (“un’amichevole” per Giachetti), per il Pd si apre la partita vera: cercare di chiudere l’accordo con la sinistra, scongiurare la discesa in campo di candidature di disturbo (come potrebbero essere quella di Stefano Fassina e addirittura del defenestrato Marino) e tenere insieme sinistra e moderati. A Roma non si vince senza un consenso trasversale ai diversi strati sociali e alle diverse componenti politiche. La prima grana sarà gestire il “soccorso ex-azzurro” di Denis Verdini. Senza i voti degli ex berlusconiani l’affluenza ai seggi delle primarie Pd sarebbe stata ancora peggiore.