Ieri mattina, in una giornata di borsa iniziata male e finita peggio, c’era stato persino chi aveva sostenuto che la borsa avesse “bocciato” le nomine di Renzi; se questa è la filosofia, incredibile, con cui si guarda alle vicende di borsa e dintorni, allora il titolo oggi dovrebbe essere che le nomine di Renzi hanno fatto bocciare tutta l’economia italiana ed europea, visto che ieri il listino di Milano ha vissuto una giornata di passione senza quasi esclusioni, con una chiusura in calo di oltre il 2%, in sintonia con il resto delle borse europee. In realtà, per la cronaca, il titolo a cui più si guardava in vista delle nomine, cioè Eni, ha chiuso con un modesto calo dello 0,4% rimanendo positivo fino a pochi minuti dalla chisura, a testimonianza che la giornata di ieri non ha avuto niente a che fare con le nomine decise dal governo sul management di alcune società controllate dallo Stato.
La chiusura particolarmente negativa della borsa italiana rispetto ai cali comunque netti delle altre borse europee (il Dax ha chiuso a -1,8%) probabilmente è da mettere in relazione con la performance eccezionale che il listino di Milano aveva registrato negli ultimi mesi. Per completare il quadro lo spread Btp-Bund è rimasto sostanzialmente invariato, mentre il rendimento del decennale italiano ieri ha toccato il nuovo minimo storico al 3,11%. Per il momento quindi non sembra che le tensioni viste sul mercato azionario si siano estese toccando il debito sovrano che rimane sostanzialmente invariato. Già settimana scorsa ci si chiedeva se i movimenti della borsa stessero riflettendo un cambiamento di scenario sui mercati finanziari oppure se si fosse in presenza di una pausa fisiologica in un rally andato avanti per settimane senza praticamente interruzioni. I mercati si sono spinti molto in avanti nell’incorporare scenari di ripresa che non hanno alcun riscontro con i dati economici, inclusi quelli sul mercato del lavoro che rimangono pessimi. La “finzione” ha potuto crescere e mantenersi in un contesto in cui la liquidità è ancora abbondante e in cui l’equity viene scelto quasi per esclusione.
In realtà, però, ci sono elementi di fragilità di non poco conto. Il primo è appunto la sopravvalutazione dei mercati rispetto alla realtà economica, il secondo è un andamento economico in gran parte dell’area euro molto debole, infine la Bce non sembra intenzionata ad adottare misure non convenzionali di politica economica che siano in grado di dare una spinta decisiva all’economia. Oggi la ripresa si riduce a incrementi percentuali del Pil che iniziano con il numero zero e che non sono in grado di mettere in moto un circolo virtuoso sul mercato del lavoro, mentre la situazione finanziaria di diversi paesi dell’area euro rimane sfidante.
Le tensione geo-politiche in Ucraina riguardano poco o niente gli Stati Uniti, ma riguardano invece moltissimo l’economia europea sia per la dimensione degli scambi commerciali, sia per la dipendenza dal gas russo. Secondo l’ad di Snam, il mitico shale gas americano non potrà arrivare in Europa prima di cinque anni. Le tensioni geo-politiche in Ucraina probabilmente hanno l’effetto di obbligare gli investitori a prendere in considerazione i “fondamentali” economici dell’Europa, il reale andamento economico e le vere prospettive a breve-medio termine.
Un’analisi di questo tipo non aprirebbe a grandi speranze e sicuramente contrasta nettamente con la percezione che gli investitori hanno avuto negli ultimi mesi. La situazione rimane fragile e si cominciano a guardare non più le opportunità teoriche ma i rischi reali che non sono mai scomparsi. È difficile ipotizzare che il “sentiment” cambi repentinamente, soprattutto dopo il movimento netto delle ultime settimane, ma è certo che qualche granello di sabbia, se non di più, si sia infilato negli ingranaggi che hanno consentito, tra le altre cose, un ritorno degli investimenti esteri sull’Italia. Il rischio vero è che in presenza di un imprevisto negativo, per esempio una crisi geopolitica, ci si accorga improvvisamente della reale situazione e si produca volatilità sui mercati, risalita del costo del debito e ulteriore sfiducia tra i consumatori. I paesi dell’area euro in una situazione fragile ne risentirebbero molto.
L’atteggiamento “attendista” della Bce che si accontenta di questa situazione perchè non c’è deflazione e perchè i costi del debito non scendono non sembra particolarmente lungimirante; o meglio non è lungimirante per i paesi, come l’Italia, che hanno appena cominciato a uscire da una crisi drammatica che ha mietuto centinaia di migliaia di posti di lavoro. I mercati sono forti, ma i fondamentali sono deboli e questo determina una situazione di vulnerabilità; più passa il tempo, più i dati delle imprese mostrano dati molto inferiori alle attese degli investitori, più sarà difficile continuare in una scommessa che si rivela sbagliata mentre rimane la possibilità di rischi inattesi.
Ieri Jurgen Stark,ex membro del board della Bce, in un articolo sul Financial Times ha scritto che non sono necessarie ulteriori azioni dell’Eurotower perché l’economia si sta stabilizzando e non c’è inflazione, mentre politiche espansive complicherebbero ulteriormente l’uscita da anni di bassi interesse. L’articolo chiude sostenendo che per non perdere un decennio sono invece necessarie riforme strutturali e banche ben capitalizzate. La questione è se le riforme strutturali e banche capitalizzate siano in grado di rilanciare l’economia dando una spinta che dia l’avvio a una ripresa vera. Al momento siamo allo zero virgola mentre i mercati cominciano a mostrare segni di insofferenza e mentre emergono rischi inattesi.
Le riforme, anche se buone, hanno effetti nel medio termine e sono difficili da realizzare in un contesto di disoccupazione oltre il 10%. Il rischio non è probabilmente di perdere un decennio ma di perdere l’occasione per far ripartire la crescita proprio quando si stanno creando le condizioni finanziarie giuste. Si fa strada l’idea che con queste regole l’Europa rimarrà fragile e debole economicamente e finanziariamente per un lungo periodo di tempo. Prima o poi se ne accorgeranno anche gli investitori se tutto rimane così come è ora; le conseguenze, ovviamente, sarebbero molto negative. Ci domandiamo se in Germania queste cose non si sappiano oppure se siano note e vadano bene così con mezza Europa condannata a finire come la Grecia.