Uno dei più grandi critici letterari dei nostri tempi, l’americano Harold Bloom, sostiene ne “Il Canone occidentale” che «La grande scrittura è sempre una riscrittura o un revisionismo». Non è così. O almeno, non è sempre così.
A volte ci sono libri che urgono di essere scritti e in qualche modo impongono di essere letti, e soprattutto possono essere grande letteratura, anche se raccontano una storia vera. Stiamo parlando del più anomalo best seller che abbia scalato le classifiche di vendita di questa estate, “Caterina”, di Antonio Socci.
Il diario di un anno terribile, scritto, come dice il sottotitolo, da un “padre nella tempesta”. Un libro di cui si è parlato ieri al Meeting di Rimini e i cui scaffali nella libreria della nuova Fiera apparivano già in parte svuotati dall’assalto dei visitatori, alla fine del primo giorno.
Molti sanno già sommariamente che cosa è accaduto a Socci, le cui passioni e polemiche di grande commentatore prima sul Giornale, sul Foglio e oggi su Libero, sono sempre state vissute pubblicamente, come si addice a un figlio di Siena, la città del Palio e di Caterina, la città del bianco e del nero del suo stemma.
Un giornalista polemista di grande talento e di grande efficacia. La “principessa” Caterina come il padre la chiama in questo libro, è stata improvvisamente colpita da un attacco di cuore a 24 anni, alla vigilia della discussione della sua tesi di laurea. Ed è caduta in coma. Socci ha fatto una scelta estrema e per certi versi titanica. Ne ha scritto sul suo seguitissimo blog e alla fine ha messo insieme questo incredibile volume, i cui proventi economici andranno destinati a precise opere di beneficenza.
Come se davvero la scrittura di un “diario”, dove peraltro i toni del pudore e del riserbo sono più che rintracciabili, fosse necessaria, utile, rispondesse insomma a un’urgenza.
Ne è scaturito un racconto, fatto di lettere, preghiere, canti, mail, pezzi di blog. Un memoire zeppo di documenti per così dire storici. Semplice e profondo. “Abbagliante” nella sua sconvolgente religiosità, come ha scritto Repubblica, e tuttavia attaccato alla realtà tragica di una condizione durissima.
"Caterina" è grande letteratura perché racconta cose e cose vere. È un libro pratico, necessario per sopravvivere. Questo spiega perché piace tanto e perché tanto ha commosso noi lettori, che tutto di un fiato abbiamo ripercorso questi mesi di indicibile sofferenza e di improvvisa luminosa speranza.
La pagina in cui Socci racconta come Caterina si metta a ridere di nuovo, squarciando il velo del coma, ascoltando la madre Alessandra (accanto a ogni grande uomo c’è una grandissima donna) leggere una pagina di Salinger resta una tappa indimenticabile. Come una pietra, solida e presente. Ironica, come solo la realtà sa esserlo. Gioiosa e positiva, piena com’è di voglia di vivere.
Ultima notazione: questo "Caterina" è anche un libro per padri (e madri). Perché ci sono tutte le delicatezze, i sensi di colpa, le ansie e le scemenze di noi genitori e perché chiunque ha una figlia o un figlio si immedesima, tanto o poco, con questa storia. E finisce per piangere e per pregare. Due cose, ci accorgiamo adesso, che non facciamo mai abbastanza.
Antonio Socci si è sempre gettato generosamente in tante battaglie. Questa è certamente la più difficile. E vorremmo, in tanti, essere vicini a lui, almeno per un turno di duello, per alleviargli il peso. Un avvenimento così ti può troncare letteralmente la vita, può sommergerti. Oppure salvarti. Socci nel suo libro ci racconta come è cambiato nell’anno più ingrato e duro della sua esistenza, facendoci tutti sperare di più. Il boom di lettori e i messaggi che sta ricevendo dal 14 luglio, data di uscita del libro, gli rispondono: grazie. E io con loro.