L’attesa era notevole per il nuovo lavoro della band di Montreal, quegli Arcade Fire che sono per molti il gruppo indie più rilevante dello scorso decennio. Due album veri e propri all’attivo, “The Funeral” e “Neon Bible”, che hanno avuto un successo di critica e soprattutto di pubblico fuori dal comune per un gruppo si dall’attitudine mainstream ma con radici ben piantate nel circuito alternative.
A conferma di ciò “The Suburbs”, questo il titolo del nuovo lavoro, ha debuttato in cima alle classifiche di vendita sia in Inghilterra che in America alimentando ulteriormente quel nuovo fenomeno che vede i gruppi indipendenti avvicinarsi sempre di più in termini di numeri alle grandi produzioni (esempio di qualche mese fa il successo del nuovo The National). Purtroppo occorre subito dire che anche se l’apprezzamento del pubblico sembra premiare le nuove composizioni del gruppo siamo purtroppo nell’insieme leggermente distanti dall’altissima qualità dei precedenti lavori. “The Suburbs” è un disco tutt’altro che brutto ma come spesso succede quando il paragone è molto elevato tutti i difetti risultano più evidenti.
Certo gli episodi in cui risulta ancora evidente la magia di Win Butler e soci di creare canzoni allo stesso tempo flebili ed epiche ce ne sono: ballate psichedeliche quali Rococo e Suburban War figlie dei Beatles di “Rubber Soul”, oppure Month Of May che sembra invece venir fuori dai sixties più arrabbiati e radicali.
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Gli Arcade Fire hanno da sempre giocato coi generi, messo insieme pezzi distanti creando la propria aurea musicale personale: Ready To Start è un brano squisitamente rock, pericolosamente pop, radicato in una certa atmosfera wave e sapiente nell’utilizzo di suoni disturbanti; Empty Room ricorda a tutti quanto fu divertente scoprire all’epoca questa band così trasversale, acida e giocosa con tutti i suoi cliché (coretti, violini, batterie leggeri e onnipresenti, chitarre ribassate melodiche); Half Light II con le tastiere in primo piano è l’ennesima variante ad una scrittura fatta di epicità smorzata e melodie sghembe.
Come dicevamo però ci sono momenti in cui il gioco sembra incepparsi: l’apertura dell’album con la semplicità di The Suburbs è esageratamente di maniera, pezzi quali Wasted Hours e Sprawl nonostante la composizione eccellente e acida risultano stanche dopo un paio di ascolti, City With No Children denota che forse l’amicizia dei ragazzi con Bono può portare anche dei danni insieme alla popolarità.
Per fortuna quasi sul finale di un album che forse doveva essere più breve per risultare più incisivo arriva quell’episodio che cancella le insicurezze e ci rassicura sul futuro: We Used To Wait racchiude tutto l’estro degli Arcade Fire nel rinchiudere in meno di 5 minuti una musicalità tesa, orecchiabile, costruita a puntino ma capace di liberare testa e corpo di qualsiasi attento ascoltatore. Speriamo che in molti siate stasera a Bologna all’iDay Festival per assistere di persona alla dimensione ormai imponente che questi ragazzi hanno raggiunto. Pochi concerti hanno la capacità di entusiasmare i presenti come gli Arcade Fire ormai fanno da anni: ecco forse in questo Bono e compagni sono stati veramente di aiuto.