A fine dicembre 2014 (secondo le rilevazioni condotte dall’Istat, nell’ambito dell’indagine Contratti collettivi e retribuzioni contrattuali) erano in vigore 38 accordi che regolavano il trattamento economico di circa 5,7 milioni di addetti a cui corrisponde il 41,5% del monte retributivo complessivo. La quota di dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 55,5%, per l’insieme dell’economia, mentre i mesi di attesa per i lavoratori, con il Ccnl scaduto, sono in media 37,3, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2013 (32,2).
L’attesa media calcolata sul totale dei dipendenti è di 20,7 mesi, in crescita rispetto a un anno prima (15,7). Con riferimento al solo settore privato la quota di dipendenti, in attesa di rinnovo, è pari al 42,4%, in decisa crescita rispetto a dicembre 2013 (34,0%); i mesi di attesa per i dipendenti con il contratto scaduto sono 21,7, mentre l’attesa media è di 9,2 mesi.
Sempre per quel che concerne il campione monitorato dall’Istat, il totale percentuale dei contratti in vigore, alla fine del 2014, era del 100,0% in agricoltura, del 97,2% nell’industria, del 18,1% nei servizi privati che porta la media del totale dei settore privato al 56,9%. La Pubblica amministrazione non ha, per il blocco della contrattazione che data dal 2010, nessun contratto in vigore in quanto perdura l’ultrattività di quelli firmati a suo tempo, giunti a scadenza e non più rinnovati. Per meglio contestualizzare tali dati si può qui riportare il peso percentuale dei vari raggruppamenti principali, all’interno del campione Istat, formato da 74 Ccnl, scelti fra i più rappresentativi come numero di occupati: agricoltura (1,8%); industria (33,9%); servizi privati (37,3%); Pubblica amministrazione (27,0%).
Ebbene, dalla lettura di questi dati emerge un forte iato tra i rinnovi contrattuali dell’industria e quelli dei servizi. Il dato del 97,2% dell’industria rispetto al 18,1% dei servizi privati non lascia dubbi al riguardo e mostra come, a livello di comparto manifatturiero, le Parti sociali sono riuscite praticamente a rinnovare tutti i principali contratti in scadenza. La situazione nel settore dei servizi è, invece, sicuramente più variegata, per tantissime ragioni, tra le quali, per citarne alcune, la frammentazione delle associazioni di rappresentanza, la dimensione delle imprese, la perdurante crisi economica, la minore qualificazione degli addetti, la minore produttività, ecc.
Della difficoltà di rinnovo dei contratti nei servizi ne sono esempi preclari quello del commercio, scaduto nel 31 dicembre 2013 e rinnovato solo pochi giorni fa, che riguarda uno dei gruppi più numerosi, con circa 1,9 milioni di dipendenti, così come i Ccnl degli studi professionali, dei bancari (su cui è stata raggiunta finalmente un’intesa) e degli addetti alle pulizie.
Nel corso del 2014, sono stati siglati 17 Contratti collettivi nazionali riguardanti poco meno di 2 milioni di dipendenti. Sette contratti sono stati siglati nell’industria, nove nei servizi privati e uno in agricoltura, mentre, come si è già detto, per il blocco della contrattazione, nessuno nella Pubblica amministrazione. In tali rinnovi vi è sicuramente da mettere in risalto l’adozione, oramai indiscussa, del nuovo modello contrattuale del 2009: tutti hanno durata triennale, sia per la parte normativa che per quella economica.
I rinnovi più significativi, dal punto di vista degli addetti coinvolti, sono stati i seguenti (trattasi tutti di accordi di rinnovo quando non indicato diversamente, firmati dalle associazioni datoriali di riferimento del settore (quasi sempre afferenti a Confindustria) con le specifiche categorie sindacali (afferenti a Cgil-Cisl e Uil).
I rinnovi nel settore dell’industria sono stati: Gomma e materie plastiche (8 gennaio 2014. Addetti: 169.600 circa);Gas e acqua (aziende private e municipalizzate) (14 gennaio 2014. Addetti: 49.200 circa); Tessile-abbigliamento e moda (stipula dell’accordo retributivo una tantum il 4 febbraio, previsto nel rinnovo contrattuale del 5 dicembre 2013. Addetti: 285.000 circa); Pelli e cuoio (4 febbraio 2014. Addetti: 13.200 circa); Ceramica, piastrelle e materiali refrattari (18 marzo 2014. Addetti: 38.500 circa); Edilizia (1 luglio 2014. Addetti: 639.500); Aziende grafiche-editoriali (16 ottobre 2014. Addetti: 96.700).
I rinnovi nel settore dei servizi sono stati, invece, i seguenti: turismo attività ricettive (alberghi) (18 gennaio 2014. Addetti: 145.100; vigilanza privata e servizi fiduciari (il 28 febbraio 2014 Filcams-Cgil e Fisascat-Cisl hanno sottoscritto l’accordo di rinnovo con Anivp, Assvigilanza e Univ. Il testo è identico a quello già firmato con Assiv-Confindustria, Lega Coop-Servizi, Federlavoro e Servizi-Confcooperative e Agci-Servizi in data 8 aprile e, successivamente, sottoscritto da Assicurezza-Confesercenti e Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl il 10 giugno 2013. Addetti: 53.100); servizi portuali (14 gennaio 2014. Addetti: 12.200); radio e televisioni private (il 17 aprile 2014 è stata siglata l’ipotesi di “accordo ponte” per una proroga economica del Ccnl scaduto il 31 dicembre 2012. Addetti: 11.000); giornalisti (24 giugno 2014. Addetti: 11.500); trasporti aerei (personale di terra) (il 16 luglio 2014 è stato sottoscritto il nuovo contratto del Trasporto aereo con una parte Vettori e una parte specifica riguardante il personale di terra, i piloti e gli assistenti di volo (cfr. i Ccnl ss.) Addetti: 12.400); trasporti aerei (piloti) (16 luglio 2014. Addetti: 3.500); trasporti aerei (assistenti di volo) (16 luglio 2014. Addetti: 5.400); servizi a terra (aeroporti)(1 ottobre 2014. Addetti: 24.600).
Per quanto riguarda, invece, il settore dell’agricoltura, è stato siglato solo il contratto, che riguarda oltre 300.000 addetti, dell’agricoltura (operai e florovivaisti) (22 ottobre 2014. Addetti: 330.800).
In definitiva, dopo questa breve elencazione, la situazione dei rinnovi contrattuali, nonostante i 17 accordi siglati, appare significativamente peggiorata, nel corso del 2014, rispetto all’anno precedente, sia per quanto riguarda i mesi di attesa che l’attesa media. Ciò sembra confermare una maggiore dilatazione dei tempi di rinnovo che però, oggigiorno, si accompagna alla messa in discussione dello stesso ruolo della contrattazione nazionale di Primo livello.
Ciò avviene paradossalmente dopo l’accordo del Testo unico sulla rappresentanza, firmato nel gennaio 2014. Tale accordo trova una sua ragion d’essere in tutti quelli che l’hanno immediatamente preceduto: il Protocollo del luglio 1993 ma anche l’accordo del giugno 2011, accordi tutti unitari, con qualche breve intermezzo “separato” di assoluto rilievo, quale quello del gennaio 2009. Il Testo unico sembrava costituire, dunque, nelle analisi dei primi commentatori, il momento culmine di un lungo processo iniziato nel 1993. Oggi sembra esserne l’epitaffio e, da allora, davvero tanta acqua sembra essere passata sotto i ponti di quel complesso processo di istituzionalizzazione dell’ordinamento intersindacale, per far uso di una felice espressione di Gino Giugni.
In conclusione, la crisi delle Parti sociali sembra essere, oggigiorno, davvero a tutto tondo e in relazione non solo al venir meno della centralità politico-economica delle stesse, quali attori collettivi dell’arena pubblica, ma anche alla crisi del cosiddetto dialogo sociale. Tale crisi è arrivata a lambire, sempre più, la stessa contrattazione di cui, in più luoghi e a più riprese, si preconizza non solo un drastico ridimensionamento quanto, addirittura, la sola relegazione a un ruolo decentrato, in azienda e nei contratti di secondo livello.
A questo riguardo, chissà, potrebbe apparire esagerato parlare di “balcanizzazione” dell’ordinamento intersindacale, ma è indubbio che il ruolo dominante delle Parti sociali, che data dal Protocollo del 1993, è oramai solamente un pallido ricordo.