Più volte nelle ultime settimane Papa Francesco ha parlato di “globalizzazione dell’indifferenza” per indicare la mancanza di impegno non solo della politica, ma anche di ogni singola persona, di fronte alle crescenti disuguaglianze. E nel suo messaggio per la Quaresima ha esortato “a non lasciarsi travolgere dalla spirale di spavento e di impotenza innescata dalla diffusione di notizie e immagini sconvolgenti che ci narrano la sofferenza umana ma aumentano il nostro senso di impotenza”.
Perché se è vero che è sempre più facile avere informazioni e analisi sui fenomeni sociali, è altrettanto vero che la stessa dimensione dei problemi e delle forze in campo è tale da far sì che possa avere il sopravvento l’idea che sia difficile fare qualcosa, incapaci come siamo di cambiare il corso della storia.
Mai come in questo periodo il tema delle disuguaglianze è peraltro diventato quasi di moda. Soprattutto negli ultimi mesi per il successo di critica e di pubblico del noioso, ma interessantissimo, volume di Thomas Piketty (“Il capitale nel XXI secolo”, ed. Bompiani, pagg. 950, euro 22) in cui si dimostra sulla base di dati empirici come il progresso economico degli ultimi decenni abbia fatto crescere il divario tra i ricchi, sempre più ricchi, e i poveri, sempre più numerosi.
Un libro, come detto, noioso perché ricco di dati, di serie storiche, di precisazioni metodologiche, ma interessantissimo perché non si ferma ai numeri, ma entra anche nella necessaria discussione politica e sociale. Allora se si vuole approfondire il tema della povertà e delle disuguaglianze nella realtà italiana appare particolarmente utile un libro questa volta tutt’altro che noioso, anche se si muove sempre sul filo delle analisi prima statistiche e poi sociologiche. Si tratta del Rapporto 2014 della Fondazione Emanuela Zancan (“La lotta alla povertà”, Ed. Il Mulino, pagg. 200, euro 19), rapporto che ha un titolo molto significativo: “Welfare generativo: responsabilizzare, rendere, rigenerare”.
In questo rapporto non c’è solo un’analisi, dettagliata quanto allarmante, della realtà sociale italiana: ci sono anche indicazioni molto precise e significative di come modificare le attuali politiche di welfare, molto incentrate sulla previdenza e sugli aiuti monetari, per valorizzare il più possibile non solo l’intervento pubblico, comunque fondamentale, ma anche le iniziative del terzo settore e del volontariato.
“Da questa crisi – scrive Giuseppe Benvegnù-Pasini, presidente della Fondazione – usciremo solo con uno sforzo comunitario, nel quale tutti i cittadini, in particolare chiunque riceve soldi dalla comunità, può e deve dare alla comunità. Possono essere prestazioni di servizio e lavoro utile da destinare alla cura delle persone, dell’ambiente, al patrimonio culturale e artistico. È necessario cioè passare dal solo rivendicare i diritti al portare in primo piano i doveri”. È questa la prospettiva del “welfare generativo” che passa attraverso 1) la responsabilità, per cui ognuno deve sentirsi partecipe del bene comune, 2) la restituzione, secondo la logica evangelica della parabola dei talenti, 3) la rigenerazione per rendere la società “più coesa, più viva, più cosciente, più protagonista”.
Invertire la tendenza che ha portato alla crescita della povertà, della disoccupazione, dell’emarginazione appare altrettanto difficile quanto indispensabile. Anche perché, sottolinea il rapporto, alla dimensione strettamente economica della povertà si aggiungono altre realtà preoccupanti come la crescita di quella che viene chiamata “povertà sanitaria”, con un sempre maggior numero di italiani che rinunciano alle cure o che si rivolgono agli ambulatori sociali, nati in molte città grazie al volontariato per aiutare gli stranieri.
Altrettanto allarmante è il fatto che le politiche pubbliche restano largamente inefficienti: si pensi che con la social card, varata nel febbraio 2012 con uno stanziamento di 50 milioni, non era arrivato due anni dopo nemmeno un euro alle famiglie bisognose. Intanto, però, sottolineano i “fotogrammi di povertà” all’inizio del rapporto, il numero dei miliardari (di dollari) è aumentato in un anno del 7% raggiungendo quota 2.325 nel giugno 2014 e la loro ricchezza è salita addirittura del 18,6%: nella classifica dei Paperoni mondiali l’Italia sale di due posizioni collocandosi al 15mo posto nel mondo. La crisi finanziaria non ha colpito, ma ha incrementato la ricchezza… dei più ricchi.
Il problema non è ovviamente quello di far tornare Robin Hood, togliendo ai ricchi per dare ai poveri, ma è quello di creare una dimensione sociale in cui siano più equilibrati e più equi i rapporti tra capitale e lavoro, tra finanza e industria, tra produzione e servizi. Con regole diverse e più responsabilità. Vincendo insieme il senso di impotenza e l’indifferenza.