“Vedremo come andrà. La società ha fatto degli acquisti, la rosa dovrebbe esser stata rinforzata. Noi siamo la Juve e dobbiamo onorare questa maglia cercando assolutamente di invertire la rotta. Io mi sento bene e sono pronto per ricominciare”. Non vedo l’ora che finisca questa intervista per andarmene da qui e tornare al mio paese natale. E’ in programma la festa del paese tra pochi giorni. Lì io sono una star. Al di là di quel che sto facendo in campo, lì la gente mi vuole bene davvero. Ed è questo quel che conta: esser voluto bene al di là di quel che fai. Pensate che l’anno scorso ben sette commercianti hanno deciso di omaggiarmi con i loro prodotti. Le ragazze poi, non vi dico come mi guardano. Per me è un onore essere cresciuto con quella gente. Mi rispettano e mi vogliono bene. Quest’anno in programma c’è il solito torneo di calcetto, dove mi diletterò con gli amici di sempre. Vincerò ancora una volta ma non è quello l’importante: la cosa che mi più rende felice è la semplicità di un fuocherello acceso assieme agli amici di sempre, cantare, bere qualche birra e ridere. Se non fosse per i soldi saluterei tutti a Torino. Le cose stanno andando male e io non ne posso più. Sono tifoso juventino però un po’ mi vergogno. Non tanto per le sconfitte, quelle possono capitare quanto per l’atteggiamento di tifosi e stampa: qui si vuol vincere a tutti i costi e io questa cosa non la sopporto. Cosa c’è di male ad arrivare una volta secondi o terzi, suvvia, fossero queste le cose importanti della vita. Piuttosto guardate l’Inghilterra: i tifosi applaudono le squadre che fanno una buona annata pur non vincendo. Invece noi no perché siamo in Italia, perché siamo la Juve; ma per favore, dai. Pensate che il Manchester United o il Liverpool abbiano meno valore? Io mi devo subire le contestazioni e gli insulti solo perché non vinco, ma come può essere giusta una cosa del genere? Come se fosse mia la colpa. Se la prendessero piuttosto con l’allenatore; quello sì che non era all’altezza, per non parlare della dirigenza. Sapete cosa? Io me ne frego. Dirò di più: spero che sia il mio ultimo anno lì. Vorrei tanto avvicinarmi a casa. Scendere di categoria mi andrebbe anche bene. L’importante è stare a pochi passi da casa, laddove la gente davvero mi vuol bene.
Pensavo di avere più emozione arrivato a questo punto. Il primo giorno alla Juventus me l’ero immaginato molto diverso. Non so perché, è una sensazione strana: non sono né felice, né triste. Ho solo voglia di bruciare ogni cosa si ponga tra me e il mio obiettivo. Ve lo giuro ragazzi, mi prudono le mani. Ogni volta che varco quel cancello ho una sola preoccupazione: distruggere qualsiasi ostacolo tra me e la vittoria. Sposteremo le montagne, ve lo assicuro. Auguro ai ragazzi che sto per allenare di capire fin da subito cosa succederà. Si mettessero il prima possibile al passo coi tempi perchè io di certo Federico Buffa non sono e tanto meno tempo da perdere ne ho. Per cui. Io so quel che per forza di cose farò e a costo di bruciare terreni e città il mio scopo raggiungerò: vincere. Il resto non conta: il metodo vien da sé. Nel 2006 ci hanno fatto cadere? Non sanno contro chi si sono messi. Provate a fermarci, avanti. Avvicinate il coltello alla nostra gola e affondate il colpo. Non sapete contro chi vi siete messi. Mai svegliare can che dorme. La mia Juventus è come l’Idra di Lerna, le tagli una testa gliene ricrescono due. Voglio una Juventus che con il solo respiro uccida gli avversari. Devono chiederci pietà, devono pentirsi di essere tra noi e la vittoria. Quando saranno in campo contro di noi l’unico desiderio che devono avere è che la partita finisca il prima possibile. E’ così che sarà. Lo sento, lo so. Questi giornalisti possono scrivere quello che vogliono, io non mi fermo davanti a niente a nessuno. Volete mettere in dubbio la nostra forza? Ci darete uno stimolo in più. Vedrete adesso che vi combino. Il treno sta per partire e se avete il biglietto c’è posto per tutti, ma attenzione. Qualora decideste di rallentarci sappiate che noi non ci fermeremo, anzi. Vi useremo come carburante.
Questi giorni vorrei passassero il più lentamente possibile. Ogni soffio di vento, ogni raggio di sole che accarezza la mia finestra mi suscita una sensazione di gratitudine che mi è difficile spiegare. L’altro giorno sono uscito che era mattino presto: le persone camminavano con la testa china pensando a chissà cosa, in chissà qual momento della giornata. Era bellissimo. Non un solo pensiero mi sfiorava la testa, ero totalmente concentrato e immerso nella realtà. Ogni situazione, ogni incontro era un sorriso che il mondo mi donava: quanta intensità. Avevo il cuore che mi vibrava in petto e che mi spingeva da una parte che non potevo scegliere. Era assurdo. Altro che libertà, esattamente l’opposto. Quanta gioia però. Quanta certezza di essere al momento giusto nel posto giusto. Siamo arrivati a Roma che era sera. Avreste dovuto sentire il profumo appena scesi dall’aereo. La brezza primaverile sembrava quasi si sciogliesse con il polline di cerri, ippocastani, aceri e pini della Capitale. Chissà quanti anni hanno quegli arbusti. “Chissà quante ne hanno viste” – sussurrava il mister. Certe fragranze ti muovono qualcosa dentro. Due chiacchiere in albergo, tanta spensieratezza e una rapida sgambata in vista della partita. Hai presente quando ti stai per laureare? Hai presente quando ti stai per sposare? Ecco, le sensazioni sono quelle. Un pizzico di paura quest’anno c’è stata ma se non ci fosse non saremmo umani. L’importante non è che sia stato perfetto: l’importante è che sia successo. Ancora una volta, ancora noi, ancora qui.