Se il destino del governo è cadere in tempi brevi, non sarà un consesso europeo a staccare la spina al Berlusconi IV. Ieri il presidente del Consiglio ha presentato l’attesa lettera ai partner dell’Ue suscitando «una buona impressione», a detta del presidente Van Rompuy. È un elenco di intenti che vanno dalle garanzie sulle riforme costituzionali e fiscali, alla mobilità per i dipendenti pubblici, all’innalzamento dell’età pensionabile fino alla maggiore facilità per i licenziamenti. Misure che hanno subito irritato la Cgil la quale annuncia mobilitazioni di piazza.
Tutto bene, dunque? Il superamento dello scoglio europeo è sinonimo di durata? Tutt’altro. I problemi maggiori vengono da Roma, non da Bruxelles. Ieri, in una giornata parlamentare surriscaldata dalla stoccata di Fini sulla baby pensione della moglie di Bossi, il governo è andato ancora in minoranza alla Camera e al Senato più volte. Lo sfilacciamento nella maggioranza è al limite della rottura. Nonostante il via libera alla lettera di impegni per l’Europa, il leader leghista ripete che al governo comanda lui. Decide lui se e quando tagliare i ponti. E tutto lascia pensare che ciò avverrà in modo da votare in primavera con l’attuale legge elettorale, che consente di riempire le liste di «fedelissimi» escludendo le frange dissidenti che nel Carroccio stanno guadagnando consensi.
«Ogni giorno in più al governo significa perdere voti» è il pensiero del Senatùr, che non intende lasciare alla Cgil la bandiera della difesa a oltranza del sistema pensionistico attuale. Questa prospettiva sta agitando un numero crescente di «peones», parlamentari che temono di non essere riconfermati e dunque non hanno nulla da perdere, eccetto i soldi che incasserebbero soltanto se la legislatura finisse alla scadenza naturale.
Sono costoro, presenti in Pdl e Lega oltre che a sinistra, a cannoneggiare il governo. Fanno la conta per vedere se – assieme all’attuale opposizione – possono formare una maggioranza purchessia in grado di sostenere un governo tecnico o istituzionale per i prossimi 12-15 mesi con un unico vero obiettivo: modificare il «Porcellum» elettorale. In che modo, ancora non si sa.
Un governo a tempo, ma non per questo inefficace: nel 1995 l’esecutivo Dini varò una fondamentale riforma delle pensioni e nel 2000 il governo Amato fece approvare la riforma costituzionale. Entrambi governi di fine legislatura, durati un anno, appoggiati da larghi settori della maggioranza uscente.
Ieri sera i senatori fedeli a Beppe Pisanu hanno tenuto una riunione carbonara, e così pure i «maroniani» starebbero ragionando su come contribuire a questo progetto.
Ormai Berlusconi vive alla giornata. Il voto sul rendiconto di bilancio ha mostrato che basta un raffreddore di Scilipoti per demolire il governo. E questa è la stagione peggiore per questo tipo di mali.