Le elezioni in Grecia e il successivo difficile negoziato con l’Unione europea hanno messo in risalto la necessità di un cambiamento graduale, ma profondo, delle regole e dei comportamenti dei paesi europei. È risultata infatti evidente l’illusione di un’architettura politica ed economica messa in piedi con molto spirito ideale e con la nascosta convinzione che la crescita avrebbe potuto aiutare a risolvere i problemi mano a mano che si presentavano.
Sette anni di crisi hanno messo a dura prova comportamenti e istituzioni e in particolare quella moneta unica europea che avrebbe dovuto essere il cavallo di Troia per forzare la mano di tutti i paesi verso una vera unione politica. E invece quella che avrebbe dovuto essere una soluzione si è dimostrata uno dei problemi. I trattati invece che una cornice di solidarietà e di equilibri complessivi sono diventati una camicia di forza entro cui le politiche di austerità hanno gravemente pesato sulla coesione sociale e sulle dinamiche di sviluppo.
Guardando all’indietro non si può non comunque rilevare come l’Italia abbia sprecato il dividendo dell’euro. I bassi tassi di interesse garantiti dalla moneta unica nei suoi primi anni di vita avrebbero potuto offrire l’opportunità di una riforma profonda della spesa pubblica, tagliando le inefficienze e spingendo gli investimenti produttivi. Così non è stato: nei primi anni del millennio la crescita italiana è stata più bassa della media europea e più profonde che negli altri paesi sono state le due ondate della recessione nel 2009 e nel 2012.
Ma se è vero che la perdita di credibilità italiana ha raggiunto il suo massimo con l’ultimo governo Berlusconi nell’estate del 2011, è altrettanto vero che alla prova dei numeri e dei bilanci l’Italia è messa ora molto meglio di come gli stessi italiani credano. Ne danno la prova Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis in un libro (“L’Europa tra ripresa e squilibri”, ed. Il Mulino, pagg. 240, euro 18) che raccoglie i contributi dei due autori pubblicati in particolare su Il Sole 24 Ore negli ultimi due anni. La linea di fondo è quella di vedere nell’assetto anche istituzionale dell’Europa grandi opportunità che solo in parte finora sono state colte. E questo sia perché un Paese forte come la Germania ha mantenuto al proprio interno i vantaggi della moneta unica, sia perché paesi deboli come l’Italia non hanno saputo gestire in un’ottica di sviluppo le risorse a disposizione.
“Il caso italiano – scrivono nell’introduzione Quadrio Curzio e Fortis – è emblematico: dal 2008 al 2012 il nostro è stato l’unico Paese della Uem a non avere attuato nel complesso politiche espansive, presentando effetti cumulati restrittivi per oltre cinque punti di Pil. Nell’area dell’euro l’impatto è risultato espansivo per 13 punti di Pil, in Francia per 14 e in Germania per 6”. L’effetto è stata soprattutto una progressiva frenata del mercato interno a cui peraltro ha corrisposto una continua anche se lenta crescita delle esportazioni.
Ma a livello strutturale l’Italia ha comunque molti punti a favore: continua ad avere un bilancio pubblico contrassegnato da significativi avanzi primari e, grazie alle ultime riforme, ha un sistema pensionistico sostenibile a lungo termine. La ripresa, di cui peraltro si intravvedono alcuni segni in questa prima parte del 2015, potrebbe essere più forte e significativa se l’Italia riuscirà a far passare sul fronte europeo l’ipotesi di scomputare dalla spesa pubblica gli investimenti per l’innovazione, l’efficienza energetica, le reti digitali, il rinnovo degli impianti. Tutto quanto in pratica può essere un moltiplicatore per la produzione e per il lavoro salvaguardando così a medio termine quell’equilibrio dei conti pubblici che dovrebbe essere il risultato di un circolo virtuoso dell’economia e non un obiettivo fine a se stesso.