Sono passati esattamente 22 anni dall’ultima volta che è accaduto. Ed anche per questo la notizia ha avuto una notevole eco, ben oltre al suo significato prettamente sportivo. La Williams ha infatti annunciato che Susie Wolff, da nubile Susan Stoddard, trentunenne scozzese moglie del co-proprietario della Mercedes Toto, guiderà la monoposto che porta il nome di Sir Frank nelle sessioni di prove libere del Gran Premio di Gran Bretagna e del Gran premio di Germania 2014. Una donna sarà al volante di una Formula Uno nel corso di un evento ufficiale più di due decenni dopo la sfortunata e fugace apparizione di Giovanna Amati con la Brabham nel 1992. Susie è la sesta rappresentante del “gentil sesso” in pista in un Gran Premio, un traguardo che non è riuscita a raggiungere la sfortunata Maria De Villota. Potrebbe sembrare strano il fatto che – al netto del vecchio adagio “donna al volante, pericolo costante” che i nostri lettori condivideranno più o meno a seconda della propria esperienza in merito – siano in realtà pochissime le “signore” che siano state capaci di ritagliarsi uno spazio significativo nella storia delle corse. Danica Patrick ne è un raro esempio attuale, come lo sono state tempo fa Michelle Mouton e Pat Moss nei rally. Strano se si tiene conto che il “talento” alla guida è qualcosa di sostanzialmente indipendente dal sesso: ma ragioni di resistenza fisica e forse anche retaggi storici hanno reso l’evento di una donna in F.1 estremamente raro. E per questo sommamente interessante. Eppure non era così infrequente nell’epoca dei pionieri trovare esponenti del gentil sesso al volante di vetture da corsa: gli anni ’20 e ’30 conobbero le gesta di temerarie eroine del volante come Elizabeth Junek – “The Bugatti Queen” – o l’acrobata-attrice-ballerina Helene Delange che in pista di faceva chiamare Hellé Nice. Jannine Jennkhy, francese, può essere invece considerata la prima donna in assoluto ad aver vinto una competizione automobilistica: il 16 maggio 1928 conquistò il GP di Borgogna a Dijon, battendo colleghi maschi del calibro di Louis Chiron e Philippe Etancelin. La Formula Uno come la conosciamo oggi, nacque nel 1950. E la prima – e per lunghi anni unica – donna a presentarsi in griglia al volante di una F.1 fu Maria Teresa de Filippis, napoletana, classe 1926. Sulle orme del fratello Luigi, che aveva tentato una carriera da pilota all’inizio degli anni ’50 e con il decisivo aiuto economico di Luigi Musso, con cui ebbe una intensa liason sentimentale, la De Filippis acquistò nel 1958 una Maserati 250F con cui conquistò, suo miglior risultato, un quinto posto al Gran Premio fuori campionato di Siracusa. Di Musso, che aveva conosciuto nel 1949, fu per tre anni inseparabile compagna prima di legarsi al campione francese Jean Behra, a sua volta amico di Musso: fu proprio questi che iscrisse Maria Teresa in occasione della sua ultima apparizione in F.1, il Gran Premio di Monaco ’59 sulla Porsche che Jeannot aveva personalmente modificato per far partecipare il fratello José alle competizioni di F.2. Luigi Musso era morto a Reims, durante il GP di Francia del ’58 e Jean Behra morì all’Avus poche settimane dopo la corsa nel Principato. Fu quella doppia tragedia a spingere la De Filippis ad abbandonare definitivamente le competizioni. Quello di Maria Teresa rimase un caso unico per molti anni, fino a quando sulle piste non comparve la miglior donna-pilota che l’automobilismo ricordi: la nostra Lella Lombardi, l’unica, a tutt’oggi, ad avere marcato punti validi per il Campionato del Mondo, grazie al sesto posto colto al Parco del Montjuich di Barcellona nel GP di Spagna 1975 interrotto dopo il drammatico incidente di Rolf Stommelen che costò la vita a cinque spettatori. Maria Grazia, in arte “Lella”, era un pilota veloce, determinato, coriaceo: tentò la prima volta la qualificazione con una vecchia Brabham, nel 1974 e l’anno successivo entrò nella scuderia ufficiale March grazie all’appoggio del suo sponsor personale, la Lavazza. Prese il via in dodici Gran Premi: lei e la De Filippis sono le uniche donne ad aver superato lo scoglio delle qualificazioni in una gara valida per il Mondiale. Lella fu settima sulla difficile pista del Nurburgring sempre nel 1975 ed ebbe una buona carriera anche in F.5000 e nelle competizioni sportcar, categoria nella quale ottenne i suoi tre successi in carriera con una Osella. Fu anche membro della squadra Turismo Alfa Romeo Autodelta. Morì di cancro in una clinica di Milano il 3 marzo 1992. Negli anni ’70 tentarono la fortuna in F.1 anche due ragazze anglosassoni: Divina Galica e Desiré Wilson. La Galica è stata la maggiore campionessa di sci inglese della storia. In una nazione con una scarsa tradizione sulla neve, Divina ebbe una lunga carriera in Coppa del Mondo terminata nel 1972 – senza nessuna vittoria ma con due piazzamenti sul podio in discesa libera nel 1968 e una costante presenza nelle prime posizioni anche in slalom e gigante – e tre partecipazioni alle Olimpiadi: Innsbruck ’64, Grenoble ’68 e Sapporo ’72. Al termine della carriera sciistica fu invitata ad una corsa automobilistica per celebrità e in quell’occasione stravinse mostrando un insospettabile talento per la guida. Si appassionò all’automobilismo e trovò nell’ex-pilota anni ’50 John Webb e in Nick Whiting i propri mentori che ne finanziarono l’attività. Corse soprattutto nelle serie di F.1 inglesi di fine anni ’70, ma anche nei kart, F.2, sportcar e gare di camion. In F.1 partecipò con una vecchia Surtees e con un insolito numero 13 al GP di Gran Bretagna ’76, gara caratterizzata dalla singolare particolarità di essere l’unica nella storia cui fossero iscritte due donne: Divina, appunto, e Lella Lombardi. Lasciate le corse intraprese una fortunata carriera manageriale e nel 1992 tornò alle Olimpiadi di Albertville come capo-delegazione della spedizione britannica. Desiré Wilson…
… sudafricana di Brakpan, classe 1953, piombò anch’essa nel mondo delle corse negli anni ’70 ed ebbe una lunga carriera durata fino al 1992, spesa sia in Europa che negli Stati Uniti in diverse categorie. I suoi migliori risultati li ottenne con la Porsche giungendo due volte quarta alla 1000 Km di Brands Hatch nel ’82 e ’84 e due volte settima alla 24 Ore di Le Mans nel 1979 e nel 1983. Desiré tentò una sola volta la “fortuna” nel Campionato del Mondo di F1, al Gran Premio di Gran Bretagna 1980 con una vecchia Williams, senza qualificarsi. Detiene però un singolare record: è l’unica donna ad avere vinto una gara classificabile come “Formula Uno”, anche se si trattava soltanto di una corsa nel campionato inglese Aurora FX che utilizzava le vetture della massima serie dismesse dalle scuderie ufficiali. Era a Brands Hatch nel 1980 e Desiré guidava una vecchia Wolf che era stata di Jody Scheckter. Dodici anni dopo la Wilson, ecco in pista Giovanna Amati. Per la verità, in più di un commentatore era serpeggiato il dubbio che la gloriosa Brabham, che già allora versava in pessime acque finanziarie e che infatti chiuse definitivamente i battenti a metà di quella stagione 1992, l’avesse ingaggiata soprattutto per motivi di immagine, data la relativamente breve e non certo esaltante esperienza di Giovanna in F.3000 e la sua romanzesca storia passata che ne facevano un ottimo mezzo per trovare sponsor. Tant’è: figlia del produttore Giovanni Amati e dell’attrice Anna Maria Pancani, Giovanna ha avuto una giovinezza piuttosto movimentata. Il 12 febbraio 1978 venne rapita da una banda di marsigliesi allo scopo di ottenere un riscatto dal padre, a quei tempi ricco proprietario di molte sale cinematografiche a Roma. Dopo la sua liberazione a seguito del pagamento di oltre 800 milioni delle vecchie lire, molti giornali riportarono la notizia di un forte rapporto sentimentale che sarebbe nato fra la Amati e uno dei rapitori, il capo della banda Daniel Nieto. Era tutto vero. Giovanna era tornata a casa da poco quando Daniel si fece vivo, le comprò un mazzo di rose e organizzò un appuntamento in via Veneto. Ma ad attenderlo, oltre che la ragazza, c’era anche la Polizia che, insospettita, l’aveva pedinata. Giovanna, in lacrime, mentre caricavano sul cellulare l’incauto e galante marsigliese, urlava di lasciarlo andare perché “non aveva fatto nulla di male”. Per la cronaca, Daniel Nieto evase dal carcere di Volterra nel 1989, dandosi alla macchia. Il caso, che fece molto scalpore, viene annoverato fra i più classici esempi di “Sindrome di Stoccolma”, ovvero di quella particolare reazione psicologica per cui le vittime di un rapimento rimangono morbosamente legate ai propri carcerieri. Ma torniamo alle corse: i risultati sportivi della Amati con la Brabham furono pessimi – tre ultimi posti in prova con relative mancate qualificazioni – anche se a sua discolpa occorre dire che la vettura era davvero poco competitiva e che con essa anche Damon Hill, futuro Campione del Mondo che la sostituì, non fece molto di meglio. Verso la metà degli anni ’90 le fu attribuita anche una relazione sentimentale con Niki Lauda, mai confermata però dagli interessati. Ora è il turno di Susie Wolff. La numero sei.