Per chi pensava che la sbornia di architettura finanziaria fosse terminata con l’esplosione della crisi dei derivati di vario genere, quanto sta accadendo sul mercato può suonare come una beffa.
Mentre infatti tutti pensano che le banche stiano cercando di ripulire i bilanci grazie anche agli aiuti di Stato, nella City come a New York avviene l’esatto contrario: l’ultima novità si chiama re-remics (resecuritization of real estate mortagage investment conduits), ovvero una nuova generazione di cdo (collateralized debt obligations) che rischia di creare i medesimi danni ancorché la loro entità sia decisamente minore.
Ma partiamo dai cdo per capire meglio di cosa stiamo parlando. I cdo sono dei pacchetti con un’obbligazione emessa dalla banca e con all’interno diversi debiti che cercano un investitore per coprirli, tra cui anche i tanto giubilati subprime. Accade dunque che una banca che vuole dei finanziamenti emette questi cdo cercando credito, promettendo di ripagare il tutto con relativi interessi: in caso di mancato rimborso, però, la banca ci rimetterà i soldi investiti nel mutuato e i soldi da restituire all’investitore vedendo svalutare questi titoli e quindi anche il proprio portafoglio.
Cosa sono invece i re-remics? Un fondo di investimento in mutui ipotecari su immobili. In realtà si prendono un bel po’ di mutui, molti dei quali rischiosi, li si spezzetta, li si trasferisce in bond che vengono mischiati per bene e immessi nel mercato: una macedonia di cdo.
Nei primi cinque mesi dello scorso anno, mentre la crisi esplodeva in tutta la sua virulenza, il volume di investimento in re-remics ha toccato quota 9,3 miliardi di dollari (il 47% di tutti i bond di debito emessi in quel periodo escludendo quelli di Fannie Mae e Freddie Mac, tre volte tanto rispetto allo stesso periodo del 2007).
Goldman Sachs, JP Morgan Chase e altre sei banche d’affari prima dell’estate si sono lanciate su questo mercato riassicurando pacchetti di investimenti che come cdo non riuscivano più a trovare mercato ma che come re-remics diventavano appetibili. Il perché è presto detto: i re-remics contengono meno di dodici tipi di bond a loro interno, quindi appaiono più analizzabili e soprattutto sono formalmente formati solo da debiti con rating AAA, sicurissimi sulla carta.
Solo che la differenza tra i cdo subprime e i re-remics è quantomeno comica alla luce di quanto accaduto: nel primo caso si garantivano mutui a potenziali insolventi, nel secondo caso la controparte non è tenuta a provare il proprio reddito. Ma non è tutto visto che grandi merchant bank e alcuni segmenti di hedge funds in questi giorni di turbolenza hanno creato desk appositi per l’acquisto di cdo e re-remics, investimenti che nel lungo termine possono risultare fruttuosi visto che prima o poi la crisi immobiliare finirà e il sottostante di quei veicoli sono beni immobili.
Per Simona Beretta, ordinaria di Politiche economiche internazionali presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano, niente di nuovo. «In effetti, questo comportamento non è del tutto bizzarro: l’evidenza storica sembra mostrare che il rendimento medio di lungo periodo dei titoli “buoni” e dei junk bonds sia stato abbastanza allineato (ovviamente, basso e stabile il primo; grandi guadagni che si alternano a grandi perdite per i secondi). Nel caso specifico dei re-remics la spiegazione potrebbe essere che il prezzo è precipitato ed è ovviamente il momento di comprare: chi non ha problemi di deleveraging, eccessiva esposizione, può farlo con fondi propri e fa un affare. Un’ulteriore ragione per cui ci può essere ancora domanda di attività finanziarie rischiose è che se una istituzione non ha bisogno stringente di liquidità, si tiene quello che ha e tendenzialmente lo rinnova in via automatica a scadenza, specie se i prezzi sono bassissimi».
Sarà per questo che a Londra, nonostante la recessione e la crisi nera, oltre la metà dei laureati in matematica, fisica matematica e ingegneria matematica sceglie la specializzazione in finanza. In compenso, visto che non si deve trattare tutto ciò che è finanza come il diavolo perché senza finanza e borsa non avremmo Microsoft e nemmeno Internet, chi fa le cose per bene viene premiato.
Parliamo delle aziende che trattano Cfd – contratti per differenza – cioè derivati ma su leva lineare: ovvero, se sale guadagni, se scendi perdi. Niente trucchi o scappatoie. Questo mercato cresce, giorno dopo giorno e ora la Borsa di Londra ha deciso di investire in questo mercato.
Una dei player principali di questo segmento è Ig Markets, da poco sbarcata anche in Italia. Queste le parole di Alessandro Capuano, managing director di Ig Markets Italia: «Il fatto che il London Stock Exchange abbia deciso di entrare direttamente come Borsa in questo mercato conferma sia quanto è sviluppato il business dei Cfd in termini di volumi, sia quanto è elevato l’interesse da parte dei consumatori su questi prodotti. Noi ci proponiamo in Italia come azienda leader nei Cfd e il fatto che il Gruppo London Stock Exchange-Borsa Italiana creerà un mercato di Cfd ci aiuterà a far entrare questo prodotto come una asset class sia dei trader online sia degli intermediari italiani che proprio grazie all’iniziativa del LSE non vivono più con le diffidenze degli anni scorsi su questo prodotto».
Insomma, finanza non vuol dire truffa. Fiducia e voglia di prodotto, fare, questo è il segreto per ripartire.