Ieri l’amministratore delegato di Vivendi, de Puyfontaine, in una lunga “lettera aperta” a La Repubblica ha voluto fare alcune precisazioni sulla vicenda che ha portato la società francese a essere il secondo azionista di Mediaset con una quota del 30%. La partecipazione di Vivendi è stata costruita in poche settimane determinando un rialzo spettacolare del titolo Mediaset tra sospensioni al rialzo e rumour impazziti di un mercato che si interrogava sulle reali intenzioni del gruppo francese. Per de Puyfontaine, l’azione di Vivendi “in alcuni casi è stata fraintesa o male interpretata. Tanto che alcuni hanno sintetizzato i nostri sforzi come opachi, speculativi o dettati da sete di conquista, suscitando in questo modo ostilità o sfiducia”.
La “difesa” dell’ad francese ci sembra possa essere sintetizzata in questi tre argomenti: “siamo in Italia per realizzare un progetto ambizioso, di lungo termine” e “vogliamo dare più importanza e valore all’italianità delle aziende di cui siamo azionisti”. Il secondo è questo: “Nel 2015, la Francia ha investito in Italia 46 miliardi di euro. A sua volta, la Francia è stata il principale destinatario degli investimenti italiani”. Il terzo è: “Vivendi ha dichiarato fin dall’inizio qual è il suo progetto: costruire e dar vita a un grande polo dell’Europa meridionale, che prevede di creare una ampia convergenza tra contenuti e telecomunicazioni. Francia, Italia e Spagna sono i tre principali Paesi da cui partire.”
La difesa, così come è stata illustrata, sembra perfetta e inattaccabile; sembra difficile contestare l’idea di un polo “sud-europeo” media e telecom che magari faccia concorrenza ai colossi globali o continentali. Anzi, chi contesta questa “narrazione” fa quasi la figura del meschino. La narrazione ci sembra però tralasciare alcuni punti fondamentali e sorvolare su almeno un altro paio di punti particolarmente controversi.
L’accordo tra Vivendi e Mediaset su Premium era già in sé la base di partenza per una collaborazione sovranazionale e verteva sulla parte dove si possono attendere tutte le sinergie. È facile immaginare sinergie sui diritti live o su poche, selezionate serie televisive, ma per il resto il 99% della programmazione Mediaset non interesserà mai allo spettatore francese e viceversa. Ovviamente ci sono le sinergie di costo se il nuovo azionista dovesse fare più tagli o magari concentrare alcune attività in una sola sede; ma questo molto difficilmente può essere incluso nell’idea di un “polo europeo”. La verità è che il progetto di Vivendi rimane ancora oggi avvolto da un alone di mistero in cui nessuno ha detto o capito cosa si voglia fare veramente perché non è chiaro da dove arrivino le sinergie addizionali rispetto all’accordo iniziale su Premium; forse Vivendi pensa che Mediaset possa essere gestita meglio o che si possano tagliare i costi in modo più deciso, ma questa ovviamente è un’altra storia.
Mediaset poi non è una public company, ma una società con un azionista di riferimento chiaro; la modalità con cui Vivendi si è fatta avanti non è collaborativa. Vivendi ha costruito una posizione di forza in modo ostile ponendo le basi eventualmente per un’opa e oggi sta dettando le sue condizioni obbligando l’altro socio a trattare. È difficile lasciarsi suggestionare da ipotesi di gruppi europei con queste premesse, soprattutto se Vivendi continua a colpire, metaforicamente, per mettere all’angolo Berlusconi alzando sempre di più il livello dello “scontro”; ieri la società francese ha fatto capolino nell’azionariato di Ei Towers. In questo possibile polo europeo considerate le capitalizzazioni attuali lo spazio per il sistema Paese italiano sarebbe assolutamente secondario, per non dire di facciata, rispetto a quello francese.
Ma il punto che non viene evaso è che parlare di Telecom o televisioni non è come parlare di un cantiere navale francese che non vuole nessuno. Nessuno può essere così stupido o pensa che gli altri lo siano così tanto da credere che non ci sia un interesse legittimo e palese di un sistema Paese quando una società la cui governance viene criticata durissimamente sulle pagine del Financial Times o del Wall Street Journal assume il controllo sia dell’ex monopolista telecom che della prima società televisiva privata. Pensare di far credere questo è in questa fase persino grottesco con il dibattito globale sulle “fake news” sull’“hacking” delle elezioni da parte di governi stranieri, sulle intercettazioni e la creazione di rapporti di “intelligence” ad hoc fatti usando materiale sensibile in modo selettivo. Questo senza considerare le enciclopedie scritte in Italia sulle conseguenze politiche date dal controllo di Mediaset.
Nessun Paese che voglia una indipendenza sostanziale può permettersi questa colonizzazione, fatta tramite una società così chiacchierata in modi così palesemente ostili e senza alcun confronto preventivo. Il governo francese per una vicenda infinitamente meno strategica ha chiesto e ottenuto misure decisive che “incatenano” la società Stx al sistema francese dopo che suoi ministri puntavano i piedi con dichiarazioni a mercato aperto dettando le condizioni. De Puyfontaine non può fare finta che queste cose non esistano, che il modo in cui Vivendi è entrata in Mediaset sia “normale” o non estremamente ostile, che siano chiari, prima ancora che auspicabili, i suoi obiettivi e men che meno che ci sia anche solo un barlume di reciprocità tra Italia e Francia. A meno che pensi che l’Italia sia veramente il Paese da terzo mondo, con tutto il rispetto per il terzo mondo, in cui o certe cose non si capiscono o in cui si possono far digerire in quanto “colonia” di un Paese colonizzatore.