Nel suo articolo su Telecom ed Eni, Gianni Credit ha illustrato molto bene i possibili esiti di due dei più importanti rinnovi di cariche di manager pubblici. Particolarmente rilevanti sono gli scenari che si stanno disegnando per l’Eni, data l’importanza strategica che questo gruppo ha per l’Italia, che derivano da due caratteristiche peculiari del nostro Paese. La prima è data dalla posizione geografica della Penisola, vero e proprio ponte tra Nord e Sud e tra Est e Ovest, tra Europa, Africa e Asia. Per quanto riguarda il settore energetico, l’Italia non ha un gran ruolo a nord, ma è molto attiva in particolare sull’altra sponda del Mediterraneo e con la Russia, e ciò soprattutto attraverso l’Eni.
L’altra caratteristica è che, a differenza degli altri paesi europei, presi di solito a modello per noi incolti italiani, l’Italia ha rinunciato al nucleare e ha limitato di molto l’uso del carbone, per motivi ecologici o, meglio, ecologisti, ed è estremamente dipendente da petrolio e gas naturale. Ciò, indipendentemente da simpatie personali o politiche, giustifica la nostra esposizione verso paesi come l’Algeria, la Libia o la Russia.
Le strategie operative dell’Eni sono fortemente influenzate da questa situazione, differenziandolo in parte dai concorrenti europei e allontanandolo dalle grandi compagnie statunitensi, anche se in un modo non così drammatico come ai tempi di Enrico Mattei. Nella prospettiva dei rapporti con gli Usa, acquista così particolare interesse la ventilata nomina ad amministratore delegato di Leonardo Maugeri in sostituzione di Paolo Scaroni.
Come sottolinea Credit, Maugeri proviene dall’interno del gruppo, ma a differenza del “filorusso” Scaroni, è ben collegato agli ambienti americani, dato che conduce ricerche sull’energia all’Università di Harvard ed è membro di diversi istituti di ricerca americani, oltre che di Accenture, il più grande gruppo di consulenza al mondo (275000 dipendenti), che da gennaio 2014 è il gestore principale dell’Obamacare, la riforma sanitaria di Obama. Maugeri è noto negli ambienti americani per essere stato un sostenitore delle opportunità rappresentate dallo shale oil e per averne predetto il successo, ipotizzando che nel 2017 gli Stati Uniti saranno i maggiori produttori di petrolio.
Questa nomina si inserirebbe bene nel quadro disegnato da alcuni di un Renzi appoggiato da Obama in funzione anti-Merkel, tesi adombrata anche da Giulio Sapelli su Il Sussidiario. Non ho elementi per dire se le cose stanno così, ma sembrerebbe in effetti che gli Usa abbiano una certa simpatia per i “rottamatori” di casa nostra, visto l’apprezzamento espresso a a suo tempo per Beppe Grillo dall’ambasciatore americano in Italia.
Se Scaroni andasse alla presidenza del gruppo, superando passati dissapori con Maugeri, l’Eni potrebbe contare su una diarchia bifronte, capace di guardare a ovest e a est, un est difficilmente rimpiazzabile dagli Stati Uniti, essendo impensabile sopperire ai nostri fabbisogni energetici importando il loro shale oil e gas.
Intanto, i rapporti dell’Eni con la Russia si rafforzano e si intersecano con gli avvenimenti ucraini. Una decina di giorni fa, la Saipem, società in cui l’Eni ha il 43%, ha annunciato un accordo da 2 miliardi di euro con la russa Gazprom per la costruzione del primo tratto del South Stream, il gasdotto che dovrebbe portare il gas russo in Bulgaria attraverso il Mar nero, evitando così l’Ucraina. L’Eni partecipa al consorzio costruttore, in cui Gazprom ha il 50%, con una quota del 20%.
Tuttavia, in un’audizione davanti alla Commissione attività produttive della Camera, ieri Scaroni si è detto pessimista sulla possibilità reale di eseguire questo contratto, dato che potrebbero venire a mancare le necessarie autorizzazioni dell’Ue, proprio per le vicende ucraine. Non proprio una bella notizia per Saipem.
A proposito di Scaroni, non si può non prendere in considerazione l’articolo scritto da Milena Gabanelli sul Corriere della Sera, decisamente negativo sulla sua gestione dell’Eni. Già in passato, nel dicembre 2012, la giornalista aveva fatto un servizio sul gruppo, nella sua trasmissione Report, che aveva originato una querela da parte di Eni con la richiesta alla Rai di un risarcimento di 25 milioni di euro (!).
Le critiche della Gabanelli sono molto articolate e dettagliate, per cui sarebbe troppo lungo analizzarle, né ne avrei la competenza. Ve ne è una, tuttavia, che attiene al discorso finora fatto, cioè la perdita di 1,5 miliardi di euro per la commercializzazione del gas nel 2013. A parte la diminuzione dei consumi, l’articolo fa risalire la perdita al rinnovo da parte di Scaroni dei contratti con la Russia del tipo take or pay, vale a dire, se anche non ritirate, le quantità di gas concordate vanno pagate.
Un contratto certo rischioso, ma che mi auguro abbia avuto come controparte prezzi vantaggiosi, firmato nel 2007, non prevedendo l’imminente crisi con la conseguente riduzione di consumi. Comunque, un errore di cui Scaroni è, quantomeno oggettivamente, responsabile. Forse, a crisi iniziata, il contratto avrebbe potuto essere ridiscusso, ma evidentemente il governo Prodi e, soprattutto, il successivo governo Berlusconi non se ne sono curati, nonostante i rapporti personali con Putin di quest’ultimo. O, forse, le ragioni dell’accordo erano più politiche che economiche, quindi non trattabili.
Comunque sia, rimane confermato che Eni e Saipem hanno un valore strategico per l’Italia, che va oltre il loro valore di Borsa o commerciale, due aziende per le quali, come per la Finmeccanica o l’Enel, è tutt’altro che indifferente dove risieda il centro di comando. Lo ricordino bene i nostri governanti, filoamericani, filoeuropei o filorussi che siano.