La settimana in corso è molto importante per quanto riguarda il lavoro. Oggi stesso, in Commissione Lavoro della Camera, riprende, per la settima e auspicabilmente ultima volta, l’esame del “collegato lavoro” (AC 1441-quater-F), dopo l’approvazione del Senato che ha apportato al testo votato dalla Assemblea di Montecitorio, dopo il messaggio di rinvio alle Camere del Capo dello Stato, alcune modifiche modeste ma significative. Oggetto dell’ulteriore esame da parte della Camera dei deputati sono, pertanto, limitatamente alle parti modificate dal Senato, gli articoli 2, 20, 31, 32 e 50, in quanto su tali disposizioni non si è giunti, successivamente al messaggio presidenziale di rinvio, a una duplice deliberazione conforme di entrambe le Camere.
All’articolo 2, recante una delega per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sono state introdotte alcune modifiche volte a coordinare il testo con le nuove norme introdotte, sulla medesima materia, dal decreto-legge n.78 del 2010. Si tratta, pertanto, di un adempimento praticamente dovuto, in quanto nel testo originale era prefigurato un percorso riguardante l’assetto di alcuni enti pubblici, da definire con decreto legislativo, che nel frattempo è stato altrimenti definito con legge già entrata in vigore.
All’articolo 20 è affrontata la spinosa questione della presenza di amianto e dei suoi effetti sulla salute dei marinai a bordo del naviglio di Stato. La norma di interpretazione autentica, volta a escludere l’applicazione delle norme penali di cui al DPR n.303 del 1956 (nel periodo della loro vigenza) ai fatti avvenuti a bordo di mezzi del naviglio di Stato, è stata in primo luogo meglio definita al fine di circoscriverne la portata ai soli profili di rilevanza penale. A tal fine è stato innanzitutto precisato che resta in ogni caso fermo il diritto al risarcimento del danno del lavoratore.
Inoltre, laddove si stabilisce che i provvedimenti adottati dal giudice penale non pregiudicano le azioni risarcitorie, è stato precisato come queste ultime abbiano a oggetto l’accertamento della responsabilità civile contrattuale o extracontrattuale derivante dalla violazione delle disposizioni di cui al suddetto DPR n.303 del 1956. Nel corso dell’esame al Senato, inoltre, è stato aggiunto un nuovo comma, volto a incrementare di 5 milioni di euro annui, a decorrere dal 2012, l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 562, della legge n.266 del 2005, relativa ai benefici a favore delle vittime del dovere, categoria alla quale possono essere ricondotti anche i militari operanti a bordo del naviglio di Stato che abbiano subito danni o siano deceduti nell’espletamento del loro servizio.
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All’articolo 31, relativo alle procedure di conciliazione e arbitrato, è stato in primo luogo stabilito, con riferimento all’attività delle commissioni di certificazione, che l’accertamento dell’effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie di lavoro deve essere verificata all’atto della sottoscrizione della clausola compromissoria e ha a oggetto le controversie che dovessero successivamente insorgere dal rapporto di lavoro. Inoltre, è stato richiamato anche l’articolo 411 del codice di procedura civile, relativo al processo verbale di conciliazione, tra le disposizioni applicabili alle controversie individuali di lavoro nel settore pubblico.
È questo il punto più delicato che farà maggiormente discutere. La norma aveva suscitato fin dall’inizio la polemica tra i due schieramenti. Ed era stato il clou del messaggio di rinvio alle Camere di Napolitano. Il presidente, ritenendo apprezzabile un indirizzo normativo teso all’introduzione di strumenti arbitrali (compresi quelli che introducono la possibilità di un giudizio secondo equità) volti a prevenire e accelerare la risoluzione delle controversie, evidenziava tuttavia la necessità di definire, in via legislativa, meccanismi meglio idonei ad accertare l’effettiva volontà compromissoria delle parti, con riguardo al contratto individuale, e a tutelare il lavoratore, soprattutto nella fase di instaurazione del rapporto di lavoro.
Inoltre, il messaggio metteva in luce che la possibilità di pervenire a una decisione arbitrale “secondo equità” non poteva in ogni caso compromettere diritti costituzionalmente garantiti, o comunque indisponibili, di cui è titolare il lavoratore. Si segnala, poi, che l’ultimo rilievo attinente all’articolo 31 riguardava le perplessità sollevate dal previsto decreto che il ministro del Lavoro e delle politiche sociali sarebbe stato autorizzato a emanare per regolare la materia dell’arbitrato secondo equità, una volta trascorsi dodici mesi di sostanziale inerzia delle parti sociali: il messaggio di rinvio aveva ritenuto che vi non vi fossero i presupposti di una delegificazione in linea con quanto previsto dall’articolo 17 comma 2 della legge n.400 del 1988.
In ottemperanza delle osservazioni del Capo dello Stato erano state portate, alla Camera, le seguenti modifiche. All’articolo 31 era stato previsto:
– che nell’arbitrato di equità si dovesse tener conto, oltre che dei principi generali dell’ordinamento, anche dei principi regolatori della materia (derivanti anche da obblighi comunitari);
– che in caso di impugnazione del lodo arbitrale la competenza fosse, in unico grado, del Tribunale in funzione di giudice del lavoro;
– che la clausola compromissoria non potesse essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova (e, ove non previsto, prima che fossero trascorsi 30 giorni dalla stipulazione del contratto di lavoro);
– che la clausola compromissoria non potesse comunque avere a oggetto le controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro;
– che davanti alle commissioni di certificazione le parti potessero farsi assistere da un legale di fiducia o da un rappresentante dell’organizzazione sindacale o professionale a cui avessero conferito mandato;
– che in assenza di accordi interconfederali o contratti collettivi volti a definire la pattuizione di clausole compromissorie, trascorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convocasse le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative, al fine di promuovere un accordo; nel caso in cui non si giungesse a un accordo nei successivi 6 mesi, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, individuasse in via sperimentale, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto tra le parti sociale, le modalità di attuazione della nuova disciplina.
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Purtroppo nella vicenda dell’arbitrato il diavolo ci ha infilato la coda. Si pensava che dopo le modifiche introdotte, in sede referente, dalla Commissione Lavoro – per aderire alle osservazioni del messaggio di rinvio alle Camere del Presidente della Repubblica – il testo sarebbe stato inviato al Senato per un’approvazione finale senza modifiche. A Montecitorio, invece, le opposizioni hanno avuto buon gioco a sfruttare l’assenteismo della maggioranza (Fabrizio Cicchitto ha parlato di “sciatteria”) e a far passare – nel primo voto della ripresa pomeridiana – un emendamento insidioso, non tanto in sé, quanto per le conseguenze che può avere.
Ma procediamo con ordine. La norma emendata si riferiva al ricorso delle parti (intenzionate a sottoscrivere la clausola compromissoria) alle commissioni di certificazione, tenute ad accertare la loro effettiva volontà di devolvere ad arbitri le eventuali controversie relative al rapporto di lavoro. È a questo punto che si era inserito l’emendamento. Quali erano queste controversie? Il testo le indicava con le seguenti parole: «che dovessero insorgere». L’emendamento le ha sostituite con la parola «insorte». In sostanza, con questa interpretazione alle parti non sarebbe bastato “blindare” di garanzie il momento iniziale del rapporto di lavoro, ma sarebbero state costrette a recarsi in pellegrinaggio, ogni volta che insorgesse una controversia, presso le commissioni di garanzia per dichiarare la volontà di comporre per arbitri quella singola e specifica vertenza. In pratica, ricorrere alle procedure stragiudiziali sarebbe divenuto tanto laborioso che le parti vi avrebbero rinunciato in partenza. Così il Senato – come abbiamo visto – ha dovuto correggere il testo e ripristinare la precedente impostazione facendo uso dell’aggettivo «nascenti» riferito alle controversie.
Passando oltre, all’articolo 32, recante norme sulle modalità e i termini per l’impugnazione dei licenziamenti individuali, è stato in primo luogo innalzato da 180 a 270 giorni il termine entro il quale, a seguito dell’impugnazione del licenziamento, il lavoratore è tenuto (a pena di inefficacia dell’impugnazione medesima) a depositare il ricorso nella cancelleria del tribunale o a comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. A tale riguardo è stato inoltre precisato che resta in ogni caso ferma la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Infine, si è previsto che la nuova disciplina sull’impugnazione dei licenziamenti trovi applicazione in tutti i casi d’invalidità (ma non anche di inefficacia) del licenziamento.
All’articolo 50, ove si stabilisce che (ferme restando le sentenze passate in giudicato) in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa il datore di lavoro che, entro il 30 settembre 2008, abbia offerto la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato e, successivamente all’entrata in vigore della legge, offra anche la conversione a tempo indeterminato, è tenuto unicamente a indennizzare il lavoratore con un’indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità di retribuzione, è stato previsto che la norma trovi applicazione anche nel caso in cui il datore di lavoro, successivamente all’entrata in vigore della legge, offra l’assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere.
In queste stesse giornate si è tornato a parlare di Statuto dei lavori, avendo il Governo avviato un confronto con le parti sociali allo scopo di promuovere e sollecitare un avviso comune da recepire eventualmente sul piano legislativo in un secondo tempo.