L’ipotesi di fondere Equitalia nell’Agenzia delle Entrate sta iniziando a suscitare molti interrogativi, anche perché nel frattempo il supermanager Attilio Befera ha annunciato il suo ritiro a maggio, poco prima della scadenza del suo mandato. Un mandato che Renzi parrebbe non intenzionato a rinnovargli.
Una reazione decisamente negativa è già arrivata da Enrico Zanetti, sottosegretario all’Economia e deputato di Scelta Civica che, secondo una notizia Asca, ha definito l’ipotesi “una follia pura”. La proposta di Zanetti è, invece, di porre Equitalia alle dirette dipendenze del ministero dell’Economia, aumentando al contempo il controllo del ministero sull’Agenzia delle Entrate, diventata ormai un centro di potere autoreferente.
Dal 2001, l’Agenzia delle Entrate ha sostituito una serie di enti, con il compito di accertare i tributi e gestire il contenzioso, ed è sottoposta alla vigilanza del ministero dell’Economia e Finanza e al controllo della Corte dei Conti. Equitalia è nata nell’ottobre del 2006 con il compito di riscuotere tributi, contributi e sanzioni, sostituendo i numerosi enti di riscossione privati che avevano fino ad allora espletato questo compito. Attualmente è articolata in tre società territoriali.
La logica seguita finora è, quindi, l’accorpamento di funzioni e strutture così da ridurre i costi , omogeneizzare le strutture e fornire ai cittadini un unico interlocutore, di natura pubblica. La proposta della fusione dei due organismi segue la stessa linea e, da un punto di vista puramente tecnico, non sembra stravagante che le funzioni di accertamento e di riscossione siano in capo ad un unico soggetto.
Il problema è essenzialmente politico, come dimostra la reazione del sottosegretario Zanetti, che non ha tutti i torti nel dire che una materia “sensibile” come il fisco non può essere considerata solo sotto il profilo dell’efficienza tecnica o della mera riduzione di spesa, che possono essere comunque perseguite anche con altre soluzioni.
Dell’Agenzia delle Entrate, nel 2012, è già entrata a far parte l’Agenzia del Territorio, responsabile del catasto, per la cui riforma sono stati stanziati 45 milioni di euro dal 2014 al 2019. Si parla inoltre di un possibile accorpamento anche dell’Agenzia delle Dogane che, a sua volta, ha assorbito i Monopoli di Stato.
Sulla carta, ma da dimostrare, tutto questo può produrre grossi risparmi di costi e vantaggi in efficienza. Dalla recente audizione davanti alla Commissione Finanze del Senato dell’amministratore delegato di Equitalia, Benedetto Mineo, si apprende che solo il 50% delle cartelle emesse sono realmente esigibili, e che circa un quarto non lo sono per errori di emissione delle cartelle stesse. L’accorpamento risolverebbe o aggraverebbe una situazione in cui solo l’8% è stato realmente riscosso? D’altra parte, dalla fine del 2014 a Equitalia verrà tolta la riscossione dei tributi comunali e anche la Lombardia ha deciso di riscuotere da sé i suoi tributi, forse stimolata dall’esempio della Sicilia, dove Equitalia è esclusa.
Rimane il fatto che il nuovo organismo sarebbe un centro di potere fortissimo e molto invasivo per i cittadini, anche se la situazione attuale, a ben vedere, non è poi così diversa. Equitalia è controllata al 51% dall’Agenzia delle Entrate, con il restante 49% in mano all’Inps, e non è da stupirsi che avesse come presidente Befera e come vicepresidente Mastrapasqua, presidente dell’Inps prima delle sue dimissioni per la questione dei molti incarichi. In altri termini, la concentrazione di potere è già in atto, con il beneplacito dei politici, a parte il suddetto Zanetti.
C’è da chiedersi come mai politici e organi di controllo non si siano mossi per sanare prima quanto portato alla luce dalla magistratura amministrativa. Mi riferisco ai quasi 800 dirigenti dell’Agenzia delle Entrate (circa i due terzi del totale) dichiarati illegittimi dal Tar del Lazio nel 2011 perché nominati senza regolari concorsi. Nel novembre scorso, il Consiglio di Stato ha rinviato alla Corte Costituzionale l’articolo della legge del 2012, governo Monti, che cercava di sanare la situazione, riconfermandoli provvisoriamente in attesa dello svolgimento dei concorsi. Se la Corte ritenesse tale articolo incostituzionale, potrebbero essere messi in discussione tutti i provvedimenti firmati da questi dirigenti negli scorsi anni.
Ancora una volta, in primo piano non dovrebbero essere le strutture, ma i loro scopi e per quale interesse vengono gestite, se al servizio della comunità o di interessi particolari. Nella fattispecie, più che pensare ad assemblaggi, sarebbe forse il caso di rivedere tutto da principio. Ne avrà il coraggio, Renzi il “rottamatore”?