Mario Monti ha aggiunto al proprio palmares da neo-presidente del consiglio un altro successo. Tutto quello che era precluso a Silvio Berlusconi, ora è consentito al tecno-premier. Ha imposto nuove tasse. Ha ripristinato, aggravandole, le imposte sulla casa. Ha rinviato le misure a favore della crescita. Ha riportato nel dibattito politico temi come le liberalizzazioni delle professioni e la revisione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ha ottenuto maggioranze parlamentari quasi bulgare: e fa un po’ tenerezza il Cavaliere di ieri che si rimprovera di «non essere riuscito a convincere il 51 per cento degli italiani» mentre Monti in quattro e quattr’otto ha consolidato il consenso dell’80 per cento delle Camere.
Ieri, dunque, l’ennesima stelletta per il governo, che ha incassato la fiducia sulla manovra salva-Italia. Una fiducia che il presidente Napolitano, un mese e mezzo fa, aveva ostacolato quando gliela chiese Berlusconi prima del G20 di Cannes. Le manovre più pesanti vanno confrontate con Parlamento e parti sociali, fece sapere il Colle all’inizio di novembre: Palazzo Chigi non poté porre la fiducia, il premier si dovette presentare davanti ai Grandi della Terra senza misure concrete, ma solo con l’ennesimo elenco di buone intenzioni, e al rientro dalla Costa Azzurra fu impallinato dagli spread impazziti come biglie nel flipper. Monti invece ha imposto sacrifici draconiani senza concertarli con nessuno, ha accettato qualche modifica suggerita dai partiti e infine, indisturbato, ha posto la fiducia.
Berlusconi dice che questo voto è il “male minore”. L’atteggiamento del leader pidiellino davanti al governo resta ondivago. Anche ieri ha detto di invidiare un po’ la Lega e le colorite manifestazioni di protesta attuate in Parlamento dalle opposizioni. Allo stesso tempo ripete a Monti che il Pdl resta il partito di maggioranza relativa e che i principali provvedimenti dell’esecutivo vanno concordati in anticipo.
Berlusconi appare leale verso il professore bocconiano, non gli fa mancare l’appoggio parlamentare, eppure cerca di fargli sentire una certa pressione. Le mosse di Monti non sono soltanto tecnico-finanziarie, ma anche politiche: come ha detto ieri Casini, vero architrave del tecno-governo, in questi mesi si sta archiviando la Seconda repubblica, quella del bipolarismo, e si traccia la strada per la Terza. Un vero «spartiacque».
Restano comunque enormi incognite su questo percorso, ed è per questo che tutti i leader politici rimangono guardinghi. Incognite interne, legate agli effetti che sortirà la cura Monti, e internazionali. Il capo del governo, nel discorso di ieri al Senato, ha fatto capire che giudica i partiti doppiogiochisti: in pubblico lo coprono di critiche mentre in privato lo incoraggiano come l’ultima vera speranza per l’Italia. Ma questa pare una lettura troppo semplicistica.
La situazione finanziaria si mantiene difficile, gli spread ballano, il debito non cala, i partner europei non trovano l’accordo per rafforzare l’area euro, la fase 2 promessa dal governo italiano è ancora fatta soltanto di ipotesi tutte da applicare. E c’è una montagna di titoli pubblici a breve scadenza la cui piena ricollocazione è tutt’altro che scontata. I partiti maggiori stanno a guardare le mosse del governo. E si tengono pronti a staccare la spina per votare anticipatamente, seguendo l’esempio spagnolo.