Chi pensa che solo gli inglesi sappiano fare il tè, si sbaglia. Paolo Carrai, di Firenze, guida con i fratelli l’azienda di famiglia. Tutto nasce alla fine degli anni ’50, quando Alfredo Carrai prende in mano una scatola di tè proveniente dalla Cina ed ha l’intuizione che il tè di qualità a foglia intera può essere la strada da seguire. Da allora il loro marchio – La Via del Tè – è sinonimo di alta qualità nel mondo. Dal 2009 il tè prodotto e commercializzato da Carrai conquista quote di mercato addirittura in Inghilterra, patria ancora oggi del consumo e del rito del tè in Europa.
Non è scontato trovare un’azienda italiana leader nella produzione di tè. Qual è la vostra storia?
Ha iniziato mio padre. Subito dopo la guerra ha fatto un po’ di tutto, poi ha iniziato a lavorare col fratello nel mondo del caffè. Quando scoprì le prime aziende che attraverso i torrefattori italiani di caffè portavano in Italia il tè in bustina, iniziò a vendere prima il caffè e poi il tè della Lyon’s di Londra. Ma la svolta sta in un aneddoto che non ha mai smesso di raccontare.
Che cosa accadde?
Alla fine degli anni ’50 scoprì su una bancarella una lattina originale cinese di tè a foglia intera. Era un tipico esempio dei prodotti multietnici che arrivavano in Italia attraverso le basi militari americane: mio padre la trovò a Livorno nella base Usa di Camp Darby. In quel momento scoppiò il suo «amore» per il tè. Nel 1961 fondò la ditta, e per 25 anni vi hanno lavorato in tre: lui, mia madre e mio nonno. Alla fine degli anni ’80 siamo arrivati noi: mio fratello più grande è entrato in azienda nel 1985, io nel 1989 e successivamente gli altri fratelli. Siamo sei figli tutti nell’azienda. Oggi Snak è un’azienda di 25 persone con fatturato sopra i 3 milioni di euro. Abbiamo un marchio, La Via del Tè, è lavoriamo in tutto il mondo.
In molte aziende italiane il passaggio generazionale è problematico. Per voi non è stato così?
No ed è stato tutto merito di nostro padre. Nel 1988 diede in mano a me e a mio fratello un ramo d’azienda. Ne abbiamo fatto due aziende differenti che ognuno di noi gestiva autonomamente. Questo grande gesto di fiducia e di responsabilità da parte di nostro padre ci permise di capire realmente come funzionava un’impresa dal di dentro: come trattare con banche, clienti e fornitori.
E come è andata a finire?
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Nel ’91 abbiamo le abbiamo chiuse. Mio padre ci disse: ho visto la passione che ci mettete, vi do il 50 per cento di tutta l’azienda. Siamo entrati in un consiglio di amministrazione a tre, è lì è stato incredibile vedere come nostro padre accettasse di essere anche in minoranza. Messo in minoranza da ragazzi di poco più di vent’anni!
Torniamo al tè. Come vi siete specializzati nel tè di qualità?
Nel ’92, quando siamo entrati noi, mio padre importava dalla Cina tè di alta qualità a foglia intera. Non dunque la bustina con dentro i frammenti tritati, che sono lo scarto di lavorazione, ma la foglia intera, cioè la parte più nobile della pianta. Noi avvertimmo l’esigenza di creare un nostro brand. Non ci bastava più importare un prodotto pregiato e finito da Giappone, Cina, Ceylon, sia pure destinato a rivendite di qualità, ma volevamo dare un valore aggiunto al nostro essere azienda italiana.
Questo cos’ha voluto dire? Vi siete «inventati» un tè?
Praticamente sì. Abbiamo iniziato a fare nuovi blend, ottenuti con mélanges e miscelazioni nuove: abbiamo cioè miscelato i tè originali con fiori, frutta, spezie, erbe e aromi, ottenendo nuove varietà di tè completamente nostri. Trattiamo come gamma a parte i tè mono-origine cioè i tè verdi e neri, che confezioniamo lisci. Tutti gli altri sono blend che facciamo dentro l’azienda. A questo si è aggiunto un marchio e un packaging differente.
Quali sono i vostri mercati principali?
Il nostro mercato principale è l’Italia, equivalente a circa il 75 per cento del nostro fatturato; negli ultimi anni però abbiamo iniziato ad allargare le nostre vendite all’estero. Oggi siamo presenti in Germania, Spagna, Francia, Russia, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacca, Stati Baltici e Romania, ed abbiamo appena concluso accordi di distribuzione nei paesi del Golfo (Dubai e Kuwait) e in Israele.
Qualche anno fa abbiamo fatto vendite di tè pregiati anche a Cina e Giappone ed abbiamo intenzione di tornare su quei mercati. Infine nel 2009 siamo entrati nel mercato Inglese con un distributore a Londra e se pensiamo alla selezione che avviene in questo mercato è proprio un buon risultato. Pensiamo solo al fatto che in Inghilterra il consumo è di 800-900 tazze procapite l’anno, mentre in Italia scende a 50 tazze!
E in Italia come siete posizionati?
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In Italia siamo leader nel settore del tè di qualità; pur rimanendo un prodotto di nicchia, si sta assistendo ad un continuo aumento dei consumi. Il nostro acquirente infatti non è più solamente la signora amante dell’english style, ma i giovani dai 30 ai 45 anni che conoscono l’Europa e il buon gusto e chiedono un tè di alto livello, lo stesso che hanno potuto assaggiare in alcuni paesi esteri. I nostri clienti non sono le grandi catene di distribuzione ma le boutique alimentari, le torrefazioni, le drogherie; il settore del naturale, cioè le erboristerie, e infine hotel ristoranti bar e caffetterie qualificati.
E per quanto riguarda la patria del tè, cioè Cina, Giappone e Sudest asiatico?
Puntiamo nuovamente ai mercati di Cina e Giappone attraverso i grandi alberghi. Abbiamo scommesso sul nostro filtro-foglia che è una nostra esclusiva: una bustina non di carta ma di cotone o di nylon trasparente con all’interno non il tè polverizzato ma la foglia intera. È una soluzione che unisce il massimo della qualità con la praticità della bustina, oltre ad avere un appeal innovativo: materiale elegante, curato, che lascia trasparire la varietà del contenuto.
Avete subito gli effetti della crisi?
Abbiamo avuto un calo del 30 per cento nei primi tre-quattro mesi del 2009. È comprensibile se pensiamo che il 90 per cento del tè in Italia viene venduto in bustina nella grande distribuzione. Noi siamo nella nicchia restante del 10 per cento. Ma il primo effetto della crisi – fatturato a parte – è sempre uno scossone. Almeno per noi è stato così. Uno choc che sgombra il campo dagli equivoci.
Cosa intende dire?
La crisi ha rimesso tutto in discussione. Abbiamo capito che il vero problema dell’azienda non è quanto fatturiamo, ma il vero valore aggiunto che intendiamo mettere in quello che facciamo. Il fatturato è una conseguenza e non la causa di questo fattore. Cosa metto di personale, di mio, in quel che faccio? Ce lo siamo chiesti tutti. E ho capito che la mia aspirazione più grande è di fare un prodotto che soddisfi me stesso, le mie esigenze. Ecco perché la crisi ci ha costretto a ridomandarci di nuovo cosa ci ha fatto davvero iniziare vent’anni fa.
È una ricetta che si sentirebbe di suggerire anche agli altri?
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Io penso di sì, ma posso parlare solo di me stesso. La ricetta per contrastare la crisi non è venuta per noi da una nuova strategia, ma dal riscoprire ciò che dà gusto fare dentro l’azienda. O forse è proprio questa la «strategia» migliore di tutte. Ma occorre tener presente che non c’è un’analisi delle motivazioni astratta, separata dall’etichetta, dalla miscela e dal gusto del tè che vendiamo.
Però non bastano le motivazioni, serve anche il fatturato.
Il fatturato certo che serve, ma è come un indice che ti aiuta a correggere la rotta della tua intrapresa! L’ultimo quadrimestre di quest’anno lo abbiamo fatto al livello del 2008, che è stato il nostro anno migliore di sempre. Ma il punto è che eravamo già soddisfatti di come ognuno di noi aveva ripreso, grazie alla crisi, in mano il proprio settore; la riscoperta della bellezza del proprio lavoro e del proprio desiderio era già avvenuta, e non certo per merito del fatturato che doveva ancora venire.
Cosa vuol dire per voi investire in qualità?
Negli ultimi anni abbiamo collaborato con l’Università di Firenze e commissionato studi sulla composizione dei singoli tipi di tè, dal punto di vista delle catechine, xantine e theanine; ricerca che poi ci è servita per lo sviluppo dei nostri prodotti. Ma la nostra spesa per la ricerca e la qualità più importante è girare il mondo per vedere quello che accade ai nostri competitor e sui mercati, nei negozi e nei locali. È il gusto di stare sempre con «gli occhi aperti» per imparare sempre da ciò che ci accade, in modo da poter offrire un prodotto sempre migliore ai nostri clienti e che innanzitutto piace a noi.
Da dove si comincia per fare un buon tè?
Per fare un buon tè non partiamo da un budget prestabilito. Solo dopo pensiamo a come limitare le spese; l’idea iniziale è sempre il tipo di prodotto che ci piacerebbe realizzare. E vediamo che il consumatore ha iniziato ad apprezzare questi nostri sforzi, vedo crescere il gusto che altro non è che un’educazione per le cose buone e ben fatte. Anche in Italia il consumatore è più attento alla qualità: perché devo spendere 4 euro in un pacchetto di bustine quando con gli stessi 4 euro compro in una torrefazione o in erboristeria 100g di tè di qualità nettamente superiore?