Matteo Renzi ha dunque annunciato un passo indietro da quella che fino a pochi giorni fa era la sua linea del Piave, cioè l’Italicum. Il quale passerà alla storia come il primo sistema elettorale entrato in vigore ma modificato prima ancora di essere messo alla prova. Ora servono ritocchi alla legge che accontentino alleati e minoranza interna in cambio di un loro appoggio pieno sul referendum costituzionale. La decisione è arrivata dopo i ballottaggi sfavorevoli, le indagini sui familiari di Angelino Alfano (che hanno accresciuto lo stato di fibrillazione del Nuovo centro destra), ma soprattutto dopo l’intervista di Carlo De Benedetti — tessera numero 1 del Pd — al Corriere della Sera in cui ha messo in mora il premier. E alla vigilia del voto parlamentare sugli enti locali.
Ma la retromarcia renziana avverrà a modo suo. Il capo del governo ha detto che sulla legge elettorale il Parlamento è sovrano. Quindi decidono le Camere, non Palazzo Chigi. Non sarà il governo a fare il primo passo per correggere la legge fortissimamente voluta dalla coppia Renzi-Boschi. Ci vorrà qualcuno che si faccia carico della questione. Ipotizzare nuove soluzioni, condurre le trattative, trovare le convergenze, e metterci la faccia facendosi in qualche modo portabandiera della fronda antirenziana.
Chi sarà costui? Il Ncd, i verdiniani, la minoranza scalpitante del Pd, o magari uno come D’Alema, esperto in bicamerali e modifiche costituzionali finite nel nulla? Ma l’input potrebbe arrivare anche dall’opposizione parlamentare, magari da qualche esponente di Forza Italia un po’ più ragionevole di Brunetta. Con l’Italicum gli azzurri non arrivano al ballottaggio e — com’è successo a Roma e Torino — avranno l’immensa soddisfazione di regalare i loro voti ai grillini per il gusto di far perdere Renzi e in cambio di nulla. Godere per le vittorie altrui non è mai rientrato nei canoni di Silvio Berlusconi, e nemmeno correre per perdere.
La mossa di Renzi è perciò abile e riflette il suo stile di azione. Se gli alleati vogliono metterlo in difficoltà, che se ne assumano la responsabilità fino in fondo. Non pensino che sia lui a cavargli le castagne dal fuoco. Anche perché modificare una legge elettorale, come dimostra il percorso accidentatissimo dell’Italicum partito dal patto del Nazareno e concluso a colpi di fiducia, è disseminato di mine. E comunque l’eventuale iter si completerà molto dopo la data del referendum sulle riforme. Ciò significa che i nemici dell’attuale Italicum dovranno fidarsi di Renzi. Prima si approva il referendum e poi si penserà alla legge elettorale. È sempre il premier-segretario a dettare le condizioni. Gli altri dovranno adeguarsi e correre gli stessi pericoli che si assunse Berlusconi ai tempi del Nazareno, compreso quello che Renzi non tenga fede ai patti.
È per questo che il Ncd continua a tenere sotto pressione l’esecutivo. Le modifiche all’Italicum costituiscono il vero banco di prova per il premier nei prossimi mesi, sono il test della sua capacità di tenere unita la maggioranza. Alfano e i suoi magari non minacciano più la crisi, ma fanno sapere al premier che non gli conviene rilassarsi troppo pensando che il cammino sarà tutto in discesa. Ed ecco le tensioni per il voto sui bilanci degli enti locali, un rischio per Renzi. Ma anche per Alfano: se non riuscisse a controllare le sue truppe in rivolta, il Ncd diventerebbe una mina vagante.